Pupi Avati a cuore aperto nella lunga intervista rilasciata a L’ora solare, programma in onda su Tv 2000. Il celebre regista ha ripercorso la sua straordinaria carriera, parlando anche della sua vita privata. Non è mancato, infatti, un ricordo della madre: «Dopo la sua morte abbiamo trovato i suoi diari e li abbiamo letti. Lei fin da bambina voleva fare l’attrice, ma non l’ha mai fatta. Solo una volta, in una recita parrocchiale, aveva interpretato un “bravo” ne I promessi sposi. Non ha mai avuto il coraggio di chiedere a me, figlio regista, di farle fare una parte».



Pupi Avati ha poi parlato della vecchiaia e del suo rapporto con il tempo che passa, lanciando anche un appello: «Io ho 83 anni e non sono allegrissimo, perché sento i titoli di coda arrivare. Da giovani ci faceva paura il buio e facevamo la pace con quelli con cui avevamo litigato. Io ora voglio fare pace con il mondo. Un espediente che suggerisco alle persone che hanno questo timore è di convocare le persone che ti sono state care. Devi chiamarle tutte per nome. Io ne ho una marea, a cominciare dai miei genitori. Senti un calore, non ti senti più solo – le parole del cineasta di “Lei mi parla ancora” – senti una grande festosità nella tua stanza, con persone a te care che ti rassicurano e ti privano della paura indotta dalla notte che viene, foriera di qualche problema. Invece di fare le preghiere normali, invoco i nomi a me care e la mia follia induce delle risposte».



PUPI AVATI: “LA MIA CARRIERA SEGNATA DAL MIRACOLO”

Pupi Avati si è poi soffermato sull’inizio della sua carriera da regista, avviata dopo un’esperienza da venditore per una catena di surgelati: «Lavoravo in una catena di surgelati. Mi permise di sposare una delle più belle ragazze di Bologna. Andavo in giro per i supermercati a promuovere i surgelati, ero un missionario (ride, ndr). Per un po’ mi è piaciuto, perché c’era competizione e noi eravamo i migliori. Poi la cosa dopo un po’ mi stancò. Del tutto incidentalmente, a causa di un impegno di lavoro rimandato, andai al cinema per vedere un film con Mastroianni». Un incontro che ha fatto scattare la molla in Pupi Avati: «Mi resi conto del ruolo del regista e della sua importanza nel raccontare le cose. Rimasi tutto il pomeriggio e tutta la sera al cinema, con la consapevolezza di cosa potesse essere il cinema. Mi precipitai al bar dai miei amici e gli dissi di andare a vedere “Otto e mezzo” di Fellini. Era il 1968, un anno meraviglioso, e decidemmo di fare un film: io ero Gesù che dava un ruolo a tutti gli apostoli, che stava facendo la squadra per combattere la grande battaglia». Una avventura proceduta nel migliore dei modi, con l’elemento del miracolo sempre al fianco di Pupi Avati: «Siamo riusciti a fare due film, a fare delle cose che hanno più a che fare con la favola che con la realtà. Ma sempre con il miracolo. Non voglio avere paura ad usare questa parola: nella mia vita ci sono stati dei miracoli. Non è andata sempre bene, anzi è andata spesso bene, ma la mia carriera è segnata dal miracolo».

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