Un attacco diretto quello rivolto da Pupi Avati a Bologna, in occasione del funerale dell’attore Gianni Cavina: “Odio questa città”, ha dichiarato ai microfoni de “Il Fatto Quotidiano” il regista. Per l’ultimo saluto al protagonista di tante pellicole e fiction di successo, nella chiesa del Sacro Cuore c’erano pochissime persone e, soprattutto, nessun rappresentante del Comune di Bologna, che non ha neppure mandato una coroncina o un fiore: “Mi ha chiamato il sindaco Lepore per chiedermi scusa – ha detto Avati –. Dice che c’è stato un disguido del cerimoniale. Che posso dire… Bah… Gli ho chiesto: ma li hai redarguiti? E lui mi ha detto di sì e di stare tranquillo”.



Resta il grande rammarico: al funerale di Gianni Cavina a Bologna, ha aggiunto Pupi Avati: “C’erano la moglie, il figlio e pochi intimi. È successa la replica di quello che è accaduto a Carlo Delle Piane a Roma. La Chiesa degli Artisti era vuota, deserta, ci saranno state venti persone. Nessuno del cinema, anzi l’unico era Massimiliano Bruno. Persona che non conosco, ma mi hanno detto che c’era. Ieri a Bologna uguale: una trentina di persone dentro a una chiesa enorme e vuota. Quando siamo arrivati davanti al Sacro Cuore con la macchina, pensavamo addirittura di non trovare parcheggio. Al contrario, ho chiamato i presenti per chiedere se avevamo sbagliato chiesa”.



PUPI AVATI CONTRO BOLOGNA: “AL FUNERALE DI GIANNI CAVINA NESSUN RAPPRESENTANTE COMUNALE”

Amareggiato per quanto accaduto al funerale di Gianni Cavina, Pupi Avati ha da un lato tirato le orecchie alla città di Bologna, dall’altra ha elogiato il lavoro dei giornalisti, dichiarando a “Il Fatto Quotidiano” che “se la città non lo ha ricordato, i media al contrario l’hanno celebrato con calore inatteso”. Alla domanda legata alla possibilità che la mancata attenzione nei confronti dell’attore possa essere legata all’estrazione politica, Avati ha risposto: “Giuro che dopo 57 anni non so per chi votava Cavina. La qualità del nostro rapporto era incentrata su un altro tipo di comunicazione. Mentre in altri contesti magari era primaria l’appartenenza a un partito, a un’ideologia, a un mondo, per noi non lo è mai stato. Anche Delle Piane non ho mai saputo per chi votasse”.



Non è la prima volta che Pupi Avati ha da ridire sulle istituzioni di Bologna e c’è un episodio emblematico in tal senso, appartenente al passato e del tutto slegato dal funerale di Gianni Cavina: “Siamo tra il 1968 e il 1969. A quell’epoca c’era un numero di registi emiliano-romagnoli oltre la media. Poi Bellocchio aveva girato e prodotto ‘I pugni in tasca’ uscendo dalle regole del cinema di allora, da Roma, da Cinecittà, dalle major. Il Comune di Bologna organizzò un congresso sul ‘cinema decentrato’. Invitarono autori da tutta Italia e noi, gli unici ad aver fatto del cinema a Bologna indipendente, non siamo stati chiamati. Già allora c’era una… chiesa vuota”.