Padre Andrej, parroco a Karkiv, è un buon prete, ortodosso, fedele a Gesù e ai suoi fedeli, anche al Patriarca. Purtroppo per lui, il Patriarca – da sempre – è quello di Mosca, Kirill. Come si fa a ricordarlo nel canone della messa ogni giorno, lui che sta benedicendo quella “operazione speciale” che sta massacrando i suoi fedeli?



Già, i suoi fedeli. È sempre più difficile convincerli che ricordando il Patriarca non si celebra la sua persona, ma quella funzione di unità che ha per la sua Chiesa. Già, la sua Chiesa. È sua in quanto come vescovo gli tocca il compito di presiederla, e di farsene carico come un padre. E un padre è tale per tutti i suoi figli, anche quelli ucraini ortodossi.



Quanto alla questione dell’unità, comincia ad emergere anche tra i fedeli il dubbio che le chiese nazionali, pur eredi di grandi tradizioni culturali e spirituali, siano, per loro natura, troppo condizionate da coloro che in quel momento governano le nazioni. Come attualmente in Russia sta facendo Putin.

Costoro, non avendo mai rinunciato alla prerogativa di Pontifex maximus a cui non rinunciarono neanche gli imperatori romani cristiani, con tutti i problemi del caso (chiedetelo a sant’Ambrogio) pensano di avere la responsabilità di governare le “loro” Chiese.

E se avesse ragione quella Chiesa cosiddetta cattolica, cioè universale, che non dipende da alcun governo, se non da quello del Papa? Uno che non solo in questi tempi ha dimostrato, in molte questioni, di essere molto libero anche nei confronti dei presunti pontefici massimi dell’Occidente?



Del resto nelle comunità cattoliche di lingua russa, a parte qualche isola di super tradizionalisti, nel Credo che si recita a Messa, non si usa l’aggettivo “katolicenskaya”, riferito alla Chiesa, ma “vselenskaya”, cioè letteralmente universale.

La questione, ovviamente, rimarrà aperta probabilmente per molto tempo ancora, ma proprio situazioni come quella di oggi ripropongono il problema. Certo anche nella storia della Chiesa cattolica non sono mancati esempi di papi e vescovi il cui comportamento è stato molto, molto discutibile (e discusso), ma l’aver saputo distinguere, soprattutto da parte di molti santi carismatici, la debolezza della persona dalla sua funzione, ha permesso di conservare sino ad oggi il rispetto dell’unità della Chiesa.

Così, caro padre Andrej (che ho già comunque invitato a concludere con una sua omelia le mie celebrazioni mariane alla fine di maggio) non scoraggiarti. Sostieni con coraggio la fede, e la speranza, dei tuoi fedeli, e, come riterrai opportuno, proprio in forza del carattere sinodale della Chiesa ortodossa, niente ti impedirà di far sapere al tuo Patriarca che su certi giudizi si sta sbagliando, e sbagliando di grosso.

E poi, in fondo, sia io che te sappiamo che Gesù ha voluto un’unica Chiesa in tutto il mondo, ricca di diverse tradizioni e culture, ma tenacemente impegnata a lasciare a Cesare quel che è di Cesare, ma a difendere ciò che appartiene al popolo di Dio.

E mi raccomando, nella predica del 31 maggio non tirare troppo in lungo, come sono abituati a fare anche alcuni miei amici preti…

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