Alla fine, il 9 maggio è arrivato. Il tanto atteso discorso di Putin sulla Piazza Rossa nell’anniversario del “Grande Giorno della Vittoria” sulla Germania nazista è stato tenuto. Davanti alle truppe schierate, agli ultimi veterani della Guerra patriottica, ai vertici dello Stato, davanti all’opinione mondiale e in contemporanea virtuale con il discorso del suo nemico Volodymyr Zelens’kyj, il presidente russo ha intessuto la sua arringa per giustificare l’aggressione all’Ucraina. Quattro sono stati i punti. L’identità nazionale, i motivi della guerra, la visione del sistema di sicurezza internazionale, e forse tra le righe, ecco il quarto, come si possa raggiungere un accordo.
L’incipit ha fornito il filo rosso dell’argomentazione tutta centrata sul mito della Russia da sempre aggredita ma che riesce a sconfiggere, in guerre drammatiche e a prezzo di sacrifici immani, gli invasori, dalla Polonia nel 1612 a Hitler. Questo è il punto di partenza, Russia insicura perché accerchiata e minacciata dai nemici esterni ora come allora. La glorificazione della vittoria nella Seconda guerra mondiale fonda l’esistenza della Russia di Putin perché è il paradigma di questa condizione e quindi momento inserito nella Costituzione del 2020. La vittoria sul Terzo Reich è alla base della legittimità e identità della nuova Russia che, adesso come allora, si deve difendere dai fascisti ucraini aiutati dalla Nato, Occidente in pieno disfacimento morale.
Putin cerca di costruire un “rinascimento nazionale e tradizionale” – operazione così definita dai politologi russi – della Russia moderna sulla continuità storica, mettendo insieme tutti i pezzi della vicenda nazionale e non rinnegando niente della vecchia Urss e di Stalin. Nella macedonia simbolica troviamo lo stemma russo con l’Aquila bicipite, che guarda a Occidente e a Oriente, il nastrino zarista di San Giorgio, il principe Dimitrij Pozarskij e Kuz’ma Minin, la bandiera rossa con falce e martello che sfila nel Giorno della Vittoria ed è sui carri armati in Ucraina, le icone russe e i santini di Stalin, gli eroi russi ma ucraini della guerra contro i tedeschi. Particolare non da poco perché fanno la loro comparsa figure con scopi retorici ben precisi come il generale Nikolaj Fëdorovič Vatutin, ferito a morte durante la guerra contro i tedeschi dai militanti dell’Esercito di Liberazione Ucraino di Stepan Bandera, che combatté anche a fianco dei nazisti. Messaggio chiaro, adesso come allora, l’esercito russo lotta contro i fascisti ucraini, in una guerra preventiva scatenata dalla mire Nato, ma ribilanciato dall’altro eroe citato, il mitico comandante partigiano ucraino Sidor Kovpak e dall’eroina Ljudmila Michajlovna Pavličenko, tiratore scelto che visse a Kiev, pluridecorata, e che combatté ad Odessa e Sebastopoli, famosa anche negli Stati Uniti dove fu accolta trionfalmente alla Casa Bianca dal presidente Roosevelt e da sua moglie.
Il motivo per cui la Russia ha scatenato la guerra “preventivamente” è stato quello di evitare l’aggressione da parte dell’Ucraina che stava preparando “un’altra operazione punitiva nel Donbass, per un’invasione delle nostre terre storiche, compresa la Crimea”. Ucraina che aveva stretto sempre di più i rapporti con la Nato, ed era arrivata a minacciare “la possibile acquisizione di armi nucleari”. Alleanza atlantica che ha inoltre “avviato lo sviluppo militare attivo dei territori… adiacenti”. Mosca è stata quindi costretta a intervenire – “il pericolo cresceva ogni giorno” – per non vedere di nuovo il ripetersi di massacri come quello avvenuto ad Odessa nel 2014.
Quello che la Russia vuole per il mondo è un nuovo sistema di relazioni internazionali in cui sia impossibile il ripetersi dell’“orrore di una guerra globale” come quella scatenata da Hitler. La “sicurezza della nostra Patria – la Russia” deve essere raggiunta attraverso la “creazione di un sistema di sicurezza uguale e indivisibile, un sistema vitale per l’intera comunità mondiale”. Se non è stato finora possibile costruire tale sistema, è per colpa degli Stati Uniti, “soprattutto dopo il crollo dell’Unione Sovietica” quando “hanno iniziato a parlare della (loro, ndr) esclusività, umiliando così non solo il mondo intero, ma anche i (loro, ndr) satelliti, che devono fingere di non accorgersi di nulla e ingoiare docilmente tutto”. Passaggio politico importante, perché qui Putin prova a separare gli alleati degli Usa da questi, dicendo che non hanno gli stessi interessi.
Nel corso della commemorazione, Putin ha spiegato quali fossero – e forse sono? – le condizioni per una pace in Ucraina. Tutte condizioni che possono essere coerenti con le possibilità di un nuovo ordine mondiale multipolare. Prerequisito assoluto, ma secondo Putin rifiutato fino adesso dall’Occidente, “un accordo sulle garanzie di sicurezza” condotto attraverso “un dialogo onesto, a cercare soluzioni ragionevoli e di compromesso, a tener conto dei reciproci interessi”. Da notare che Putin ha parlato non di conquista dell’Ucraina, non di rovesciare il governo attuale ma di “nostre terre storiche” appartenenti alla Russia, nominando una volta la Crimea, una Odessa e ben sei volte il Donbass.
Un ultima nota non secondaria, l’elogio dei soldati alleati, americani in testa, nella lotta per liberare il mondo dal nazismo. Probabilmente un messaggio che può voler dire: gli Stati Uniti, pur corrotti moralmente e imperialisti, non sono il male assoluto, non sono nazisti, e quindi se vogliono, fra noi possiamo intenderci.
Se è così, Putin dovrebbe far tesoro delle parole dette oggi da Macron alla “Conferenza sul futuro dell’Europa”. L’Europa “non è in guerra con la Russia”, aiutiamo Kiev “perché Mosca non vinca”, vogliamo il cessate il fuoco “senza umiliare” Mosca. “Non dobbiamo cedere alla tentazione dei revanscismi. Domani avremo una pace da costruire” e “dovremo farlo con Ucraina e Russia attorno al tavolo. Ma questo non si farà né con l’esclusione reciproca, e nemmeno con l’umiliazione”.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.