In una intervista rilasciata all’agenzia RIA Novosti, Vladimir Putin, pur evocando il pericolo di una guerra nucleare, che secondo lui sarebbe intrapresa dalla Russia in chiave difensiva, ribadisce la disponibilità al dialogo, di cui si è ricominciato a parlare, soprattutto dopo l’intervento del papa.
Ormai è sempre più evidente che questo dialogo, o meglio una seria trattativa, è nell’interesse di molti, se non di tutti.
Certamente è interesse, come più volte ho spiegato anche negli ultimi giorni, delle due parti in conflitto. Ma è anche interesse degli Stati Uniti e dell’Europa, che non ne possono più di sostenere l’Ucraina (anche se ieri i 27 Paesi europei hanno trovato l’accordo per dare con urgenza nuove armi a Kiev).
È sì un impegno dovuto in difesa della democrazia, ma forse costa troppo.
È anche un interesse dei mediatori. Non so se è noto, ad esempio, che la Turchia sta attraversando una gravissima crisi del turismo, specialmente in Antalya, una volta meta preferita di tanti cittadini dell’ex Unione Sovietica. La stessa Cina, che ormai ha costruito un certo prestigio a livello internazionale anche a scapito della Russia, che da una parte aiuta, ma che dall’altra riesce fortemente a condizionare, deve concludere il suo progetto con la vittoria di chi si presenta come garante della pace mondiale.
Allora qual è il problema?
Sia la Russia che l’Ucraina non vogliono mettere in discussione i confini a cui credono di aver diritto. Che in Crimea nel 2014 sia avvenuta un’annessione è difficile negarlo. Che nel 2022 l’esercito russo abbia invaso l’Ucraina oltre i limiti di Donetsk e Luhansk, pure. Nello stesso tempo, per quanto sia imbarazzante, è un dato di fatto che sia in Crimea che nei territori occupati ci siano molti filo-russi che effettivamente hanno sentito Putin come un liberatore.
Anche nei Sudeti e a Danzica, ad essere onesti, per non parlare dell’Austria, c’erano molti tedeschi che stavano con Hitler. Proprio per questo, prima di definire i confini, una trattativa seria, anche se difficile, dovrebbe definire le condizioni di convivenza in territori dove vivono popolazioni divise ma che per molto tempo non si sono fatte la guerra. Infatti c’è anche chi oggi in Russia, specie tra gli anziani, comincia a rimpiangere i bei tempi dell’Unione Sovietica, quando si era sotto un regime dittatoriale ma almeno non ci si sparava l’un l’altro.
È quindi su questo aspetto della difficile, ma storicamente non impossibile convivenza pacifica che le trattative dovrebbero mettere l’attenzione. In questo senso la vecchia proposta del “corpo di pacificatori” non è poi così peregrina.
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