Il 2024 vedrà scadere il mandato di tre attori che hanno dominato la scena mondiale nell’ultimo biennio. A marzo si vota per le presidenziali in Russia, nello stesso mese scade il mandato di Volodymyr Zelensky in Ucraina, a novembre si aprono le urne negli Stati Uniti per l’elezione del successore di Joe Biden. Tre scadenze che detteranno il corso degli eventi nei prossimi anni, ma solo formalmente simili tra loro. In questo anno di svolta, l’unico elemento di stabilità sembra paradossalmente rappresentato da Vladimir Putin, a dispetto di quanti, all’indomani dell’aggressione all’Ucraina, avevano sostenuto che il suo regime fosse ormai giunto alla fine per le più svariate cause (malattie del leader, default finanziario, instabilità sociale, isolamento internazionale). Più auspici che dati di fatto, se visti all’alba di un anno che sembra ribaltare completamente le aspettative. Che lo zar resterà saldamente al potere fino al 2030, per il quinto mandato consecutivo, diventando così il leader più longevo della Russia moderna, è un fatto ormai scontato, vista la totale assenza dell’opposizione, azzerata dalle drastiche misure preventive del Cremlino.
Secondo Golos, organizzazione non governativa dichiarata fuorilegge in Russia, quasi un quarto dei candidati alle amministrative dello scorso settembre, stravinte dal partito governativo “Russia unita”, sarebbero stati arbitrariamente estromessi dalla competizione grazie a presunte irregolarità formali o denunce di estremismo. L’opposizione “sistemica” che presenterà i propri candidati alle presidenziali è di pura facciata, utile solo a dare una parvenza democratica alla competizione. L’unico vero oppositore capace di aggregare consenso resterebbe ancora oggi Aleksey Navalny, confinato però in totale isolamento nella colonia penale IK-3 ad Harp, oltre il circolo polare artico, all’indomani dell’avvio della sua campagna contro la rielezione di Putin, promossa attraverso il sito neputin.org. Anche Ksenia Fadeyeva, ex consigliera comunale a lui vicina, è stata condannata nei giorni scorsi a nove anni di carcere e reclusa nel carcere siberiano di Tomsk, con l’accusa di aver “creato un’organizzazione estremista”.
Sul fronte bellico, il pugno di ferro di Putin sembra aver superato gli errori compiuti nei primi giorni di guerra. Se nei piani iniziali del Cremlino l’attacco a Kiev doveva servire a rovesciare Zelensky e a favorire la nascita di un governo amico, la resistenza dell’Ucraina, forte dell’appoggio militare fornito da Usa e Unione Europea, ha imposto un cambio di strategia, trasformando la prevista guerra-lampo in un conflitto di lunga durata e a bassa intensità. Ma è proprio su questo campo, nel quale l’impiego di truppe di terra riveste vitale importanza, che la Russia sembra aver consolidato la propria posizione, vista l’enorme differenza tra i belligeranti: nel lungo periodo Putin può permettersi di sacrificare più uomini e risorse rispetto a Zelensky, senza veder intaccate le proprie riserve militari, economiche e demografiche.
Molto diversa l’atmosfera che si respira In Ucraina, dove l’euforia seguita all’annuncio della controffensiva ha lasciato il passo a un netto pessimismo. I generali di Kiev sanno che i prossimi mesi saranno più gravidi di pericoli che di opportunità: a corto di armi, con sempre meno uomini a disposizione, alle prese con la crescente diserzione di giovani arruolabili. Una situazione molto diversa rispetto a quanto accadeva all’indomani dell’invasione, quando i volontari affollavano i centri reclutamento in tutto il Paese. Non a caso si acuiscono i contrasti tra Zelensky e i vertici dello Stato maggiore ucraino, con le pesanti critiche del generale Valery Zaluzhny, capo delle forze armate, che ha più volte criticato i provvedimenti adottati dal presidente e l’andamento sul campo delle operazioni. In questo contesto, è difficile che le urne ucraine si aprano regolarmente il 31 marzo. “Non è questo il momento per andare alle elezioni”, aveva dichiarato lo stesso Zelensky a novembre, considerando i notevoli problemi di sicurezza e logistici imposti dalla guerra in corso e che più di 8 milioni di ucraini, in maggioranza elettori, avrebbero lasciato il Paese dall’inizio del conflitto.
Nei giorni scorsi il New York Times “consigliava” Zelensky sull’opportunità di rinunciare ai territori occupati dai russi, seppure provvisoriamente, per accelerare l’entrata nella Ue e ottenere così una tutela internazionale più stabile e duratura. Ma un’eventuale trattativa con il Cremlino sarebbe esiziale per la credibilità di Zelensky, che nel 2023 ha visto calare il consenso di oltre il 20%, secondo un sondaggio dell’Istituto internazionale di sociologia di Kiev. In questo scenario ad alta volatilità pesano le incertezze legate alle elezioni americane: l’ottuagenario Joe Biden si appresta a terminare il suo mandato con il peggior indice di popolarità mai registrato da un presidente Usa (secondo un sondaggio Gallup, solo il 39% degli americani approva il suo operato), mentre lo spettro di Trump aleggia attorno alla Casa Bianca, minacciando l’uscita dalla Nato e l’abbandono dell’Ucraina al proprio destino.
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