Era “l’uomo degli Ayatollah” e ora la sua morte rischia di trascinare l’Iran in una guerra pericolosissima con gli Usa: un raid americano ha ucciso il generale Qassem Soleimani, il militare e leader delle Guardie della Rivoluzione iraniana. Come tutti gli analisti internazionali vanno ripetendo ormai da ore, quando cioè il generalissimo è stato freddato durante raid Usa a Baghdad in Iraq – al centro della tensione americana-iraniana dopo l’assalto dei manifestanti iracheni sostenuti da Teheran all’ambasciata americana – il rischio di una escalation tra i due odiati Paesi nemici è ora altissimo. Perché? Semplice, il generale Soleimani era uno dei leader più carismatici oltre che il capo supremo delle milizie ufficiali dell’Iran: aveva 62 anni e rappresentava ormai da tempo il vero uomo chiave per la politica esterna e interna del suo Paese. Da molti era anche il candidato più gettonato per un prossimo futuro non molto lontano al vertice delle cariche dello Stato iraniano: era giovanissimo quando prese parte alle falangi militari che si unirono alle Guardie della Rivoluzione per dare l’assalto al Governo dello Shah Reza Pahlavi, rovesciandolo e facendo salire al potere l’Ayatollah Khomeini. Era il 1979 e il suo profondo odio contro gli Stati Uniti gli fece fare carriera, arrivando fino ai vertici dell’esercito di Teheran.
CHI ERA IL GENERALE SOLEIMANI E PERCHÈ ODIAVA GLI USA
Dopo un periodo di disgrazia causato dalla sua opposizione alla “politica” del premier Hashemi Rafsanjani (tra l’87 e l’89) che prevedeva la corsa dei soldati iraniani sui campi minati verso le trincee nemiche in Iraq, venne nominato successivamente comandante delle forze Al Quds. Diventa in poco tempo il vero leader capace di mediare con l’Hezbollah, il «Partito di Dio» degli sciiti libanesi, oltre che la mente militare più fulgida nel combattere gli americani durante l’invasione in Iraq nel 2003 per volere di George W. Bush. Il paradosso è che tra il 2014 e il 2017 il generale Qassem Soleimani si ritrova a combattere fianco a fianco degli odiati americani contro i sunniti dell’Isis nella zona di Mosul: non cessò il suo odio per Washington, completamente ricambiato tanto che da anni gli Usa spingono per sanzioni e azioni contro la sua persona. Scampato a diversi attentati, il generalissimo di Teheran questa volta viene dato per morto e confermato dallo stesso Ayatollah Khamenei, che ha proclamato tre giorni di lutto nazionale e giurato «vendetta durissima contro gli Usa». Il Premier Iraq Madhi non la prende bene (nonostante la teorica alleanza con Trump), «questo raid lede sovranità del Paese, atto gravissimo». Come afferma a Rai News24 l’esperto analista Ispi Alberto Negri (per anni inviato di guerra per il Sole24 ore), «il raid che ha ucciso il generale Soleimani è l’evento più duro e grave nei rapporti diplomatici tra Usa e Iran dall’attacco all’ambasciata americana a Teheran nel 1979».