Mentre il Qatar cercava il sostegno di parlamentari europei per questioni d’immagine, di alleanze e di permessi d’entrata, le motivazioni del Marocco per avere “portatori d’acqua” all’interno del Parlamento europeo erano diverse e molto maggiori: un territorio occupato da difendere, accordi commerciali e aiuti per centinaia di milioni di euro.
A seguito del ritiro della Spagna, nel 1975 il Marocco occupò il territorio del Sahara occidentale, scacciando il popolo dei sahrawi che si apprestava a diventare indipendente dopo 125 anni di dominazione spagnola. Con la costruzione di ben sette muri fortificati per un totale di 2700 km, i sahrawi sono stati progressivamente spinti in zone desertiche verso l’Algeria e privati delle grandi e ricche risorse ittiche e minerarie del loro Paese.
Grazie alla mediazione delle Nazioni Unite, nel 1991 fu raggiunto un cessate il fuoco nel conflitto armato tra il Marocco e il Fronte Polisario, l’organizzazione per l’indipendenza del Sahara occidentale. Con una risoluzione del Consiglio di sicurezza, subito dopo fu creata la Missione delle Nazioni Unite per il Referendum nel Sahara occidentale (Minurso).
Nel 2003, l’inviato delle Nazioni Unite James Baker, presentò un piano, noto come Baker II, che prevedeva un periodo di transizione di cinque anni per preparare un referendum, offrendo agli abitanti del territorio una scelta tra l’indipendenza, l’autonomia all’interno del Regno del Marocco o la completa integrazione con il Marocco. Il Polisario accettò il piano, ma il Marocco lo respinse. Dopo 31 anni, nonostante il Consiglio di sicurezza rinnovi il mandato della Minurso ogni anno, il referendum ancora non si è fatto.
Attualmente oltre un terzo dei quasi mezzo milione di sahrawi vivono come rifugiati nella regione di Tindouf, nel sud dell’Algeria, sostenuti da donatori internazionali come le Nazioni Unite, l’Unione Europea e singoli governi. Chi vive nelle zone occupate e governate dal Marocco è spesso vittima di violenze e repressioni. Secondo un recente comunicato del Consorzio delle Ong che lavorano nei campi dei rifugiati sahrawi, nei primi sei mesi del 2022 i finanziamenti internazionali ai rifugiati sahrawi sono diminuiti di quasi il 20% rispetto allo stesso periodo del 2021, aggravando la crisi e aumentando la fragilità della popolazione, soprattutto in termini di sicurezza alimentare.
La ragioni dei sahrawi hanno sempre ricevuto molta attenzione da parte dell’Unione africana. Nel 1984 la Repubblica democratica araba dei sahrawi fu ammessa come 55esimo membro dell’Organizzazione nonostante fosse uno stato solo parzialmente riconosciuto. A seguito di questa ammissione, il Marocco si ritirò come membro dall’Organizzazione dell’Unità africana per poi essere riammesso nel gennaio 2017.
La questione del popolo sahrawi ha i suoi sostenitori anche nel Parlamento europeo, tanto che esiste un “Intergruppo sul Sahara occidentale” con 66 membri, ma per l’Ue il Marocco è un partner commerciale molto importante, il principale fra tutti i Paesi del Nordafrica e Vicino Oriente. Per il Marocco, l’Ue è ancora di più: è il principale partner commerciale in assoluto e il più grande investitore straniero. Inoltre, la Ue inonda il Marocco con una marea di aiuti bilaterali: 1,4 miliardi di euro nel periodo 2014-2020.
Ma non tutte le istituzioni europee sono disposte a essere accondiscendenti con il comportamento del Marocco nel Sahara occidentale. Il 29 settembre 2021, il Tribunale dell’Unione Europea ha annullato due accordi relativi allo sfruttamento ittico e agricolo siglati tra il Marocco e l’Ue, che prevedevano la loro estensione anche al Sahara occidentale, perché secondo la sentenza “sono stati conclusi in violazione della decisione della Corte di giustizia dell’Unione Europea del 2016 e senza il consenso del popolo del Sahara occidentale”. Secondo i giudici europei questi due accordi, entrati in vigore nel 2019, non rispettano il diritto internazionale, perché siglati senza tener conto delle risoluzioni Onu riguardo allo status del Sahara occidentale, inteso come “territorio occupato” e senza aver consultato il Fronte Polisario, “riconosciuto a livello internazionale come il legittimo rappresentante del popolo sahrawi”.
Con tutte le questioni in ballo si capisce, quindi, il grande interesse e la necessità da parte del Marocco di avere dei “sostenitori” nel Parlamento europeo.
E nella cosiddetta “società civile”? Mentre ci sono Ong europee che da molti anni sostengono il popolo sahrawi con programmi di assistenza (per esempio, in Italia il Cisp, Comitato internazionale per lo sviluppo dei popoli), siamo andati a vedere qual era la posizione nei confronti del Marocco di No Peace Without Justice (Npwj), la Ong fondata da Emma Bonino nel 1993 e il cui segretario Niccolò Figà-Talamanca è stato arrestato nell’ambito dell’inchiesta della magistratura belga sulla corruzione al Parlamento europeo.
Le attività di Npwj si concentrano principalmente su tre temi: la giustizia penale internazionale; la lotta contro le mutilazioni genitali femminili; la democrazia in Nordafrica e Medio Oriente. Per questa ultima branca, il sito di Npwj elenca una lunga lista di attività sin dal 2004. Nella seconda metà degli anni 2000 la Ong ha organizzato molte riunioni in vari Paesi del Nordafrica con lo scopo di favorire la transizione alla democrazia e identificare strategie per la “Transitional Justice”. Il Marocco è stato uno dei Paesi sempre presenti e fra i più attivi, tanto che il 15 dicembre 2008 a un meeting a Roma preparatorio del “Forum per il futuro 2009” partecipavano solamente alti funzionari di Italia, Marocco e Usa, oltre ad alcune Ong. Passate le “Primavere arabe”, nella seconda metà degli anni 2010 i progetti di Npwj nella regione si sono concentrati principalmente su Siria e Libia.
In quasi 20 anni di attività non una singola menzione è stata fatta da Npwj dell’occupazione da parte del Marocco del territorio del Sahara occidentale, né delle privazioni dei diritti umani e delle disastrose condizioni di vita del popolo sahrawi. Questa mancanza completa di attenzione alla politica operata dal Marocco nel Sahara occidentale risulta ancora più sorprendente quando invece si nota negli ultimi anni il grande impegno di Npwj sul tema dei Rohingya allontanati dal Myanmar. Con la denuncia del Gambia e il sostegno di importanti Ong, il Myanmar è stato portato davanti al Tribunale internazionale dell’Aia con l’accusa di genocidio e San Suu Kyi, Premio Nobel per la Pace 1991, si è trovata nella scomoda posizione di dover difendere le azioni dei militari del suo Paese. Gli stessi militari che, a seguito della perdita da parte di San Suu Kyi del sostegno occidentale, hanno compiuto il 1° febbraio 2021 l’ennesimo colpo di Stato, privando di nuovo il popolo birmano della libertà e governando da allora il Myanmar in maniera brutale.
Abbiamo due popoli scacciati dalle loro terre, ma uno, i Rohingya, vengono difesi a spada tratta, mentre l’altro, i sahrawi, viene ignorato: difficile trovare le motivazioni per spiegare prese di posizione tanto differenti. Ma la corruzione non è per forza ottenere che qualcuno faccia qualcosa per te; a volte può anche essere chiedere di non fare niente.
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