MASSIMO D’ALEMA SI “DIFENDE” SUL FRONTE QATARGATE

«Sono colpito e addolorato»: inizia così la lunga intervista concessa da Massimo D’Alema al “Corriere della Sera” sul tema “esplosivo” per la sinistra italiana ed europea che è l’inchiesta sul Qatargate. Dopo l’arresto di Antonio Panzeri e il coinvolgimento dell’assistente di Andrea Cozzolino – entrambi ex “dalemiani” – il tema del rapporto tra corruzione e S&D in Europa non può che ripercuotersi anche sulla gestione di Articolo 1, il partito fondato da Speranza con D’Alema e Bersani e che vede come esponente l’accusato principe dell’inchiesta sul giro di tangenti tra Qatar e Ue. «Le persone coinvolte hanno una storia tale per cui non si può che rimanere colpiti e addolorati. Condivido l’intransigenza di Roberto Speranza e del Pd. Non trovo però accettabile che si prenda questa vicenda e la si usi come una clava per demolire una storia e una classe dirigente, facendo confusione tra cose che sono totalmente non assimilabili tra loro», sottolinea D’Alema che respinge l’idea di essere considerato un “lobbista” sulla stessa scia di quelli ora accusati sul Qatargate.



Panzeri e Cozzolino (non indagato quest’ultimo, ma citato da Francesco Giorgi nelle prime confessioni alla Procura belga, ndr) non vengono definiti “dalemiani” da Massimo D’Alema che pure non li rinnega: «Panzeri è uno degli esponenti che ha aderito ad Articolo 1, Cozzolino no, comunque sia sono persone che conosco da anni e che ho stimato. Nel caso di Panzeri parliamo dell’ex segretario della Camera del Lavoro di Milano. Una figura con una storia sindacale importante alle spalle, non certo l’assistente di D’Alema». Davanti alle prime accuse e ai ritrovamenti dei soldi nelle case di Panzeri ed Eva Kaili (vicepresidente destituita del Parlamento Europeo) fanno riflettere certamente l’ex Premier: «Non avrei mai potuto sospettare una cosa del genere e infatti la trovo un’indecenza, che merita una riposta ferma in difesa del Parlamento europeo. Devo dire che ho molti dubbi sul fatto che questo tipo di pressioni abbia impedito all’Europa di prendere le sue decisioni. Infatti a me risulta che il Parlamento europeo si sia pronunciato in modo molto severo rispetto al tema dei diritti umani in Qatar. Comunque sia, anche soltanto il tentativo di condizionare le istituzioni attraverso un’opera corruttiva è inaccettabile».



“QATAR, MAROCCO, COLOMBIA E COVID: NON SONO UN LOBBISTA”, SPIEGA D’ALEMA

Dal Qatargate emerge come anche dal Marocco vi sarebbero stati degli avvicinamenti con alcuni esponenti socialisti italiani e non: in merito al convegno tenuto nel 2012 organizzata da Pd e S&D con il Marocco, D’Alema replica «Non mi risulta che parlare a un convegno sia un reato. E comunque, il Partito socialista marocchino è membro dell’Internazionale socialista, abbiamo sempre avuto tanti rapporti. In Marocco, in cui è in corso un processo di democratizzazione che non si vede certo in Qatar, un socialista a un certo punto è arrivato addirittura alla carica di primo ministro. La nostra azione è sempre in difesa dei diritti umani e della democrazia, per cui in quel mondo abbiamo avuto sempre relazioni importanti con le forze che si muovono in queste direzioni». Davanti alle ripetute accuse di essere un lobbista oltre che un politico, Massimo D’Alema si difende: «non faccio né l’affarista né il lobbista. Da diversi anni ho un’attività di consulenza prima di avviare la quale, è agli atti, ho scritto al segretario Speranza una lettera di dimissioni dagli organismi dirigenti di Articolo 1. Non ci sono nel mio caso porte girevoli; ma diverse stagioni nella vita che devono essere scandite da un rigido principio di incompatibilità. Io le ho scandite, diciamo».



L’ex leader dei DS coglie l’occasione per ribadire che in merito alle recenti indagini in cui il suo nome emergeva – armi dalla Colombia e ventilatori medici nei primi mesi della pandemia Covid – non vi è alcuna indagine né colpevolezza: «Persino una persona solitamente mite come il sottoscritto arriva al punto in cui non ne può più di leggere certe menzogne. Infatti mi sono rivolto agli avvocati per discutere della questione nelle sedi preposte. È falso, tanto per dirne una, che io abbia fatto da mediatore nella vendita di armi o che abbia truffato il governo italiano con ventilatori difettosi». D’Alema ammette di aver dato una mano ad un imprenditore per l’affaire Colombia «con una qualche imprudenza, lo ammetto. Ma se avessi partecipato a una compravendita di armi sarei stato oggetto di attività giudiziaria. Parliamo di reati. Reati che, non a caso, nessuno mi contesta». Anche sul fronte Covid, D’Alema spiega di non aver venduto nulla allo Stato italiano: «a me fu chiesto (dal Governo Conte-2, ndr) di trovare qualcuno che comprasse in vece nostra, mettendoci i soldi […] il modello del ventilatore fu scelto, su indicazione del Comitato tecnico scientifico, dalla Protezione civile italiana non da D’Alema, che non c’entrava nulla. Presumo, prima di pagarli, che abbiano verificato che funzionassero. Ma lo presumo, visto che io ho solo fatto un favore e non ho venduto niente a nessuno».