Le dune di euro portate dal vento che spira dai Paesi del Golfo, e forse dal Maghreb, stanno travolgendo l’idea di socialismo europeo a cui si ispira gran parte della battaglia per la segreteria del Pd, insabbiando definitivamente l’ultimo castello della propaganda progressista nostrana: l’Europa e le sue istituzioni. Che oggi assomigliano alle mura di Ubar, l’Atlandide del deserto, ricoperte da strati di euro, sotto i quali giace il loro significato politico.



La diffusione del fenomeno che viene descritto dalla procura belga non è solo interessante sul piano degli esiti giudiziari, tutti ancora da verificare, ma narra anche di un’evidente contraddizione che il “popolo della sinistra” (potenziale target delle mire piddine) percepisce bene. Come possono le forze politiche “di sinistra” presentare se stesse come portatrici degli interessi dei più deboli e sfruttati del sistema capitalistico occidentale e poi cedere alle lusinghe delle plutocrazie estere? Come può accadere che un intero sistema di gestione del potere a livello europeo, sia istituzionale che di partito, non si sia accorto che vi erano posizioni strumentali frutto, secondo la procura belga, di biechi interessi personali? Come può reggere un sistema di rappresentanza permeabile al denaro, alle prebende personali, quando si trova ad affrontare colossi con finanza illimitata pronti a rendere ricco chi dovrebbe combatterli? Come possono gli elettori europei, e italiani in particolare, in sostanza, affidare a questa sinistra la battaglia contro i giganti dell’hi-tech, della finanza, dell’industria se i suoi meccanismi per assumere le decisioni non hanno intercettato alcuna anomalia prima dell’intervento della magistratura?



E non si tratta solo dei denari trovati, che poi si vedrà a cosa servivano e se erano tenuti da parte legittimante o meno, né se siano serviti davvero ad ammorbidire o meno alcune posizioni, ma dell’evidente assenza di ogni meccanismo di controllo interno coniugato all’attrazione per tutti i simboli della plutocrazia offerti “in dono” dai monopolisti miliardari che si è combattuto fino al giorno prima. Benessere improprio che la procura contesta sia cercato non solo da chi era eletto, ma anche da chi assiste gli eletti. Fenomeno ben più grave, visto che nella maggioranza dei casi sono gli assistenti a parlare le lingue, a capire i meccanismi e a gestire, nei fatti, quelli che hanno solo preso il consenso.



Questa ammucchiata senza struttura dimostra di essere inadatta, sin dalla selezione, al compito. E il Pd tace in larghissima parte, perché sa che ne pagherà il prezzo. La scelta di virare verso candidature oppositive e forti, come la Schlein, o di andare sul pragmatico Bonaccini senza discutere delle regole interne, di come ci si finanzia, di come si agisce come comunità, di quale sono le priorità condivise, prima che dei programmi di ciascuno dei candidati, conferma che non si potrà superare questa ennesima crisi invocando Bruxelles. Locus horribilis, ormai, e non salvifica parola da proferire per declinare la propria forza.

Gli elettori lo sanno intimamente che le borse della moglie di Soumahoro, i viaggi in Qatar tra arazzi e piscine, per quanto legittimi, si accompagnano nell’immaginario ai pacchi di banconote, agli stipendi importanti, alle consulenze postume, contando molto di più quei beni, così appare, del sogno di una sinistra collettiva e ampia che sappia rappresentare ceti interi e non singoli interessi. Per far quello ci vuole un partito, non un gruppo dirigente. E di partiti a sinistra non ce ne sono.

La prova è la stessa Schlein, che non era neppure iscritta, anzi se ne era già andata con Civati anni prima sbattendo al porta. E queste cose contano. Vuol dire che l’individuo, leader o meno, ha interessi preminenti sulla collettività che rappresenta. Che non ci sono anticorpi interni strutturali per evitare le fughe alla ricerca del proprio tornaconto, politico o materiale, che tutti si sentono in diritto di fare la propria traversata solitaria tirandosi dietro una carovana più o meno ampia che approderà in qualche posto. E se prima l’Europa era il luogo a cui puntare, ora quel luogo è solo, per la sinistra italiana, una città perduta nel deserto sotto dune fatte di euro.

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