CASO QATARGATE, PARLA IL FRATELLO DI NICCOLÒ FIGÀ-TALAMANCA

«Mio fratello è un idealista ingenuo»: parla così Giovanni Figà-Talamanca, professore universitario a Roma, poco dopo aver appreso lo scorso 27 dicembre che il fratello Niccolò rimarrà in carcere almeno per un altro mese nell’ambito dell’inchiesta Qatargate che sta travolgendo i vertici del Parlamento Europeo. Intervistato da “Il Giornale”, il fratello di Niccolò Figà-Talamanca prova a rispondere in merito alle gravissime accuse lanciate dai giudici belgi contro l’avvocato responsabile dell’ong “No Peace Without Justice”, fondata nel 1993 da Emma Bonino (di cui è stato uno storico collaboratore). Corruzione, riciclaggio denaro e associazione a delinquere: assieme a Panzeri, Kaili e Giorgi, Figà-Talamanca è uno dei 4 arrestati per l’inchiesta Qatargate, accusati di «azioni di ingerenza in seno alle istituzioni dell’Unione Europea».



«Lui è un idealista e un pragmatico, ha lavorato in condizioni difficilissime, dal Kossovo alla Sierra Leone. Senza di lui non esisterebbe il Tribunale penale internazionale, non sarebbero state raccolte le prove dei crimini di Milosevic. L’associazione che dirige fa questo da anni. Non è un politico, è un tecnico dei diritti umani abituato a muoversi in scenari di guerra», lo difende il fratello Giovanni che tira in ballo la comune sede di ong a Bruxelles tra la “No Peace Qithout Justice” e la “Fight Impunity” di Antonio Panzeri, «Questo è quanto ha scoperto l’inchiesta, a quanto leggo. Ma fino al 9 dicembre Panzeri era un personaggio riverito». Di recente Giovanni Figà-Talamanca ha parlato al telefono con il fratello: «L’ho sentito forte, tranquillo di poter dimostrare la sua innocenza. Sono il suo fratello maggiore, lo conosco da quando è nato, so come è fatto e come ha vissuto. E so che con quanto sta venendo a galla in questi giorni non ha niente a che fare con lui. Non mi sorprende che conoscesse Antonio Panzeri. Non si poteva non conoscerlo se facevi il lavoro di Niccolò. Era un personaggio di spicco, era il presidente della commissione diritti umani del Parlamento europeo. Ma sono certo che di soldi illeciti Niccolò non ha mai saputo nulla».



GIOVANNI FIGÀ-TALAMANCA: “QATARGATE, MIO FRATELLO PAGA PER IL CASO KASHOGGI”

Secondo il fratello, Niccolò Figà-Talamanca avrebbe come unica colpa quella dell’ingenuità e dell’idealismo della battaglia per i diritti civili: «Vederlo in cella oggi farà piacere ai tanti regimi a cui ha dato fastidio in questi anni col suo lavoro. Non mi sorprende leggere sui giornali il sospetto che l’inchiesta sia stata innescata dagli Emirati Arabi» attacca il professore e fratello maggiore dell’avvocato arrestato a Bruxelles, «conoscendo Niccolò non escludo che possa non essersi reso conto che accanto a lui accadevano cose deprecabili: lui guarda sempre in alto, questo fa parte di lui, di essere un’idealista. Ma in qualche modo si aspettava qualcosa di simile a quanto gli sta accadendo».



Negli scorsi anni Niccolò Figà-Talamanca si è occupato con la sua ong della campagna di advocacy per la vedova di Jamal Kashoggi, il giornalista avverso al regime dell’Arabia Saudta ucciso e fatto a pezzi all’interno della ambasciata saudta a Istanbul: «si accorse che i servizi segreti lo seguivano passo per passo. Poi quest’ anno sono stati presentati i dossier che documentano le violazioni dei diritti umani oltre che la trama cospirativa costruita dagli Emirati Arabi. Si tratta di paesi molto influenti, ed è alquanto plausibile che abbiano cercato di fargliela pagare». Il fratello di Figà-Talamanca racconta poi che lo stesso Niccolò gli confidava negli scorsi mesi, «Non temo per la mia incolumità fisica, ma il vero rischio è che provino a delegittimarci, a farci passare come corrotti al soldo di un Paese straniero»: la situazione attuale però, sostiene il professore, nonostante le accuse e l’arresto, vedrà al più presto ristabilita la verità, «hanno cercato di fargliela pagare, ma sono certo che non ci riusciranno». In merito alle attività della ong diretta dal fratello, Giovanni Figà-Talamanca racconta ancora al “Giornale”: «No Peace without Justice è una macchina complessa e ovviamente ha bisogno di risorse finanziarie. La principale entrata sono stati per anni i bandi europei. Quando questi stanziamenti si sono ridotti, ha dovuto sopravvivere soprattutto con finanziamenti di soggetti pubblici e privati, uno dei quali è stato George Soros. Ma tutte le entrate sono rendicontate e pubbliche. A casa di Niccolò non sono stati trovati sacchi di contanti».