Una proposta scientifica per uscire dal lockdown tornando gradualmente alla normalità. A presentarla su Medical Facts con il titolo “Convivere con il Covid-19” è stato Roberto Burioni assieme ad altri esperti e virologi. Al centro della proposta la creazione di una struttura di Monitoraggio e risposta flessibile (Mrf) “dell’infezione da Sars-CoV-2 e possibilmente, in futuro, di altre epidemie”, basata su strategie sanitarie di medio-lungo periodo, che dovrà avere diverse caratteristiche, tra le quali la capacità e le risorse per poter eseguire un altissimo numero di test “sia virologici che sierologici nella popolazione generale asintomatica”, analizzando i dati in tempo “quasi-reale”. “Siamo di fronte a un’emergenza che conosciamo poco – spiega Alberto Oliveti, medico, presidente Enpam e tra i firmatari della proposta –, pertanto dobbiamo usare tanto buon senso, molta cautela e le evidenze scientifiche, sapendo integrare le conoscenze del passato con un nuovo modello. Ma sono fiducioso che questa proposta, attraverso un campionamento statisticamente significativo, possa rassicurarci sul fatto che le persone che testiamo non siano pericolose per sé e per gli altri, così da poter uscire dal lockdown o rientrarci tempestivamente in caso di insorgenza di nuovi focolai. L’obiettivo è contenere l’emergenza sanitaria, economica e sociale”.



La proposta intende far sì che si possa gestire in sicurezza la transizione da pandemia a endemia. Come?

È la prima volta che affrontiamo una pandemia. Non ci sono modelli a cui fare riferimento perché ogni pandemia ha una storia a sé.

E allora che cosa si può fare con questo coronavirus?

Non conosciamo il virus, non sappiamo che tipo di immunità possa dare, non conosciamo quali siano gli anticorpi neutralizzanti, non sappiamo se la presenza degli anticorpi sia sempre e comunque espressione di non infettività. In una logica di transizione da pandemia a endemia, non conoscendo la storia del virus né la storia della reazione immunitaria, dobbiamo quindi affrontare diverse difficoltà nel tracciare una programmazione precisa.



Ma in base ai dati oggi disponibili, quando potrebbe iniziare questa transizione?

Che dati abbiamo oggi? Dati non del tutto affidabili in riferimento ai nuovi casi e a quanti sono i deceduti. Più certi sono i dati sul tasso di occupazione delle terapie intensive. Ed è il dato più importante.

Perché?

Perché, a fronte di un enorme iceberg sotto il pelo dell’acqua formato da soggetti asintomatici o paucisintomatici, questo numero ci mostra la parte emersa: ci dice quanti sono i pazienti affetti da una grave patologia che – ripeto – non conosciamo. È una patologia polmonare? Oppure, nella fase più acuta, è legata a un’infiammazione autoimmunitaria, la cosiddetta “tempesta delle citochine” che provoca reazioni non solo a livello polmonare, ma anche danni endoteliali, che a loro volta causano una cascata coagulativa del sangue con effetti su altre parti del corpo, a livello vascolare o miocardico?



Cosa significa tutto questo?

Che si dovrà effettuare un grande lavoro sulle autopsie per poter stabilire il modello eziopatogenetico della malattia.

In questa situazione di incertezza su quanto davvero conosciamo del virus e in attesa di un vaccino, dovremo comunque imparare a convivere con il Covid-19. Che cosa ci servirà?

Confidiamo, su base storica, che il virus si indebolisca nei suoi passaggi da uomo a uomo e visto che si è diffuso a fascia, cioè con un movimento orizzontale da est a ovest, confidiamo che non prediliga le zone troppo calde, e quindi che con l’estate tenda a ridursi significativamente.

Al di là di queste speranze, che cosa bisogna fare in concreto?

Il distanziamento sociale è decisivo: è come avere tanti cerini in fila, se noi interrompiamo l’effetto domino, evitiamo l’esplosione.

Al di là del distanziamento, quali suggerimenti propone la struttura di Monitoraggio e risposta flessibile?

Scienza alla mano e ignoranza alla mano, il distanziamento sociale funziona, ma non può funzionare per sempre. Dato che la società e l’economia devono vivere, bisogna riaprire con gradualità, ma basandoci sulle evidenze scientifiche di cui disponiamo.

In concreto?

Occorre dividere il territorio in tanti piccoli cluster, come fossero delle celle telefoniche. Una sorta di reticolo appoggiato sul territorio. Ogni cella deve campionare, perché non si possono fare a tutti, la popolazione con test sierologici che preferibilmente siano in grado di individuare gli anticorpi neutralizzanti in maniera rapida e poco costosa. Poi, sulla base di questa campionatura sierologica statisticamente significativa che valuta la salute delle persone, si tratterà di andare a combinare questo studio con quello virologico, cioè i tamponi, per misurare la contagiosità dei portatori sani.

A quale scopo?

Se questi soggetti continuano a emettere virus, possono diventare bombe biologiche. Dunque, questo combinato disposto ci può consentire di aprire all’uscita dal lockdown, ma anche di chiudere repentinamente la finestra, ecco la flessibilità dell’Mrf, in caso di insorgenza di nuovi focolai da zona rossa.

Celle sempre in azione?

Sì, almeno finché il virus non si attenua.

Nella proposta si parla di avviare un’azione di “epidemic intelligence”, vale a dire “un rafforzamento della capacità regionale di sorveglianza epidemiologica sotto forma di centri periferici”. Si tratta di potenziare la rete dei “medici sentinella”?

Anche ma non solo, perché l’epidemic intelligence prevede la cooperazione, come fosse un’orchestra, tra epidemiologi, virologi e filiera dell’assistenza con la rete dei medici di famiglia e dei pediatri, cioè di coloro in grado di fare sul territorio da rilevatori attivi, determinando così livelli di cure appropriate.

Un’organizzazione capillare e flessibile, ma molto complessa, non crede?

Non a caso, proprio partendo dall’esistente e senza inventarsi cose nuove, la proposta affida al ministero della Salute un ruolo da pivot: da una parte, interloquendo con il governo e i decisori politici; dall’altra, coinvolgendo il braccio collegato della Protezione civile, capace di mettere in moto tutti i suoi terminali periferici, e lo strumento operativo dell’Istituto superiore di sanità.

Una rete che coinvolga anche Asl, ospedali e medicina del territorio?

Ovviamente. In ogni celletta, nel caso venga individuato un nuovo focolaio, bisogna tempestivamente capire perché si è formato e decidere le risposte più efficaci per contenerlo e spegnerlo, cercando però di non congestionare i pronto soccorso. E tenendo conto di un aspetto importante.

Quale?

Oggi si parla molto di droplet. Ma si comincia a parlare anche di aerosolizzazione: con l’arrivo della stagione calda, come ci insegna la storia della legionella, pensiamo a che problemi potrebbero creare gli impianti di aria condizionata…

I virologi si aspettano una seconda ondata dell’epidemia. In questa prima tornata il coronavirus ha mietuto molte vittime tra medici, infermieri e operatori sanitari. Quali errori non dovranno essere ripetuti per evitare una nuova strage di camici bianchi?

I medici, che sono i soldati in prima linea del fronte anti-epidemico, sono stati mandati in trincea senza elmetto e senza fucile, cioè con dispositivi di protezione individuale (Dpi) assolutamente carenti e senza eseguire test né tamponi. Così, per paradosso, chi doveva curare gli altri si è esso stesso contagiato, diventando untore di chi doveva assistere e curare. Quindi, in futuro, andranno garantiti protocolli più approfonditi ed efficaci sull’uso dei Dpi, dai pronto soccorso agli studi dei medici di territorio. E a chi è sospettato di una patologia che quando si prende non perdona, perché molto contagiosa, dobbiamo garantire che non propaghi l’incendio dell’infezione. Infine, fare più massicciamente ricorso alle tecnologie per il tracciamento degli infetti e dei loro contatti.

(Marco Biscella)

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