Correva l’anno 1988 quando il ragionier Fantozzi, neo-pensionato, annoiato dalla sua nuova vita convinceva la moglie Pina ad andare al cinema la mattina. Il caso, fortuito, volle che i due incappassero nella visione de “Le Casalingue”, un film porno a sfondo “domestico”. Le casalinghe, quelle vere, erano, e continuano ad essere, un po’ diverse da quelle rappresentate nella pellicola con Laurien Dominique.



Nel 2016, anno a cui si riferisce l’ultimo studio organico dell’Istat, erano ben 7 milioni 338mila le donne che si dichiaravano casalinghe nel nostro Paese, 518mila in meno rispetto a 10 anni fa. La loro età media era di 60 anni. Le over 65 superavano i 3 milioni e rappresentavano il 40,9% del totale, quelle fino a 34 anni erano solamente l’8,5%. Un fenomeno, quello delle casalinghe, che, in coerenza anche con certi stereotipi, vivevano prevalentemente nel Centro-Sud (63,8%). A livello di titoli di studi posseduti il 74,5% delle casalinghe aveva al massimo la licenza di scuola media inferiore. Con riferimento al nucleo familiare il 42,1% delle casalinghe viveva in una coppia con figli, un quarto in coppia senza figli e il 19,8% era “single”. Solamente 560mila casalinghe erano di cittadinanza straniera.



Dallo studio dell’Istat emergeva, poi, che poco più della metà delle casalinghe non aveva mai svolto un’attività lavorativa retribuita nel corso della vita.

Anche per questo motivo ovviamente la condizione economica media delle casalinghe non era da considerarsi particolarmente buona. Nel 2015 erano più di 700mila le casalinghe in povertà assoluta. C’è da auspicarsi che l’introduzione nel nostro ordinamento del reddito di cittadinanza abbia impattato positivamente sulla vita di queste persone.

Nonostante questo, o potremmo dire allo stesso tempo, nel 2014 le casalinghe italiane avevano “prodotto” ben 71 miliardi e 353 milioni di ore di lavoro non retribuito per attività domestiche, cura di bambini, adulti e anziani della famiglia, volontariato, aiuti informali tra famiglie e spostamenti legati allo svolgimento di tali attività.



Il numero medio di ore di lavoro non retribuito svolte dalle casalinghe in un anno era, alla fine, pari a 2.539 (per fare un paragone, erano solo 826 quelle per gli uomini considerando occupati e/o non occupati) che se diviso per 52 settimane sfiora le 49.

In questo quadro (da ritenersi sostanzialmente stabile) il Governo Conte, nell’ultimo decreto Agosto, istituisce il “Fondo per la formazione delle casalinghe”, con una dotazione (iniziale?) di 3 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2020, finalizzato alla formazione e a incrementare le opportunità culturali e l’inclusione sociale delle donne che svolgono, appunto, attività prestate nell’ambito domestico, anche in collaborazione con enti pubblici e privati, senza vincolo di subordinazione e a titolo gratuito, per la cura delle persone e dell’ambiente domestico.

L’idea, anche se probabilmente le risorse potrebbero/dovrebbero aumentare, potrebbe essere, nonostante tutto, non così malsana, anzi quasi necessaria per aggiornare le competenze, specialmente quelle digitali, al lavoro, seppure spesso non retribuito ma prezioso, che si svolge nelle case e a favore delle famiglie.

Anche se non sembra, infatti, nel nuovo mondo che verrà avremo comunque bisogno di casalinghe 2.0 sempre più smart e del loro prezioso contributo, troppo spesso dimenticato, alla tenuta sociale del paese e come prezioso strumento “non regolamentato” di welfare.