In settimana, martedì o mercoledì, il Governo presenterà la Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza (Nadef) che fissa la cornice per la Legge di bilancio o di stabilità che dir si voglia, da presentare entro il 20 ottobre. Le anticipazioni mostrano uno scenario allarmante. L’anno prossimo il prodotto lordo non avrà recuperato la caduta di quest’anno, infatti dovrebbe crescere di sei punti percentuali mentre il 2020 si chiuderà molto probabilmente con una caduta del 9%. Altro che rimbalzo, altro che ripresa a V: l’Italia avrà un Pil inferiore di circa 48 miliardi di euro rispetto al 2019. A quel 6% si arriva grazie al contributo del fondo europeo per la ripresa: si tratta di 15 miliardi, secondo le stime, pari esattamente allo 0,9% del prodotto annuo. Meglio di niente, ma il modesto effetto moltiplicatore ridimensiona il giubilo mediatico e i sogni di gloria governativi.



Attenzione, si tratta di un primo stimolo, perché il vero impatto si vedrà a partire dal 2022, quindi non va sottovalutato il contributo del Next Generation Eu, soprattutto per gli investimenti: sono pur sempre 209 miliardi di euro tra prestiti ed erogazioni a fondo perduto (queste ultime, va ricordato, non andranno a gonfiare il debito pubblico). Ma i dati che filtrano dal Tesoro inducono a un bagno di realismo. Se l’Italia vuole ridurre il gap che si viene a creare, deve spingere sull’acceleratore molto più di quel che ha fatto finora.



Il presidente del Consiglio ha detto che in settimana verrà sbloccato lo sblocca cantieri. Forse abbiamo perso qualche puntata del Truman show, ma avevamo la sensazione di ricordare che lo sblocca cantieri era già sbloccato, almeno così era stato scritto e proclamato solennemente. Meglio tardi che mai, ma il fattore tempo è decisivo; se davvero (e sottolineo se) finirà il gioco degli annunci, gli effetti si vedranno nel 2022. In ogni caso, non bisogna compiere l’errore di pensare che lo sblocca cantieri esaurisca il pacchetto di spesa destinato agli investimenti. Si tratta di impegni già previsti negli anni scorsi, che si aggiungono a quelli per l’anno prossimo, non li sostituiscono. Sono per lo più infrastrutture viarie o ferroviarie e non colmano il ritardo accumulato sia nelle strade, sia nelle linee a bassa e ad alta velocità (come dimostrano le continue interruzioni delle reti). Non comprendono il digitale, la scuola, la sanità, l’energia, la ricerca e tutto il resto, cioè quell’insieme di interventi che possono creare lavoro e fare Pil come si suol dire. Ebbene, su tutto questo, cioè sulla sostanza della manovra di rilancio, c’è ancora uno spesso velo di incertezza. Finora si sono sentite dichiarazioni generiche, non cifre, né date o impegni concreti.



La Germania ha appena varato il suo piano da 96 miliardi di euro, la metà del quale destinato agli investimenti. E l’Italia? La Commissione europea ha invitato i Governi a presentare Leggi di bilancio che siano già orientate nel senso indicato dal Next Generation Ue sia come scala delle priorità, sia sul piano quantitativo. E l’Italia? Da quel che trapela finora, il Governo Conte si appresta a varare una manovra da 25-30 miliardi di euro, modesta anche perché dopo quel che è stato già speso il Tesoro sta raschiando ben oltre il fondo del barile, ma soprattutto segnata dalla logica degli interventi a pioggia e dall’emergenza. Ci sono proroghe (come l’Ape sociale e quasi certamente il reddito di cittadinanza), ci sono bonus, ci sono gli ammortizzatori sociali (vedremo che succede alla cassa integrazione) e qui sarà importante l’aiuto che verrà dal Sure, il meccanismo europeo per il quale l’Italia riceverà 27,4 miliardi di euro; c’è inoltre una complessa partita fiscale. Il Governo vuole muovere i primi passi della riforma, questo l’impegno assunto dal ministro Gualtieri e ciò è senza dubbio positivo, tuttavia per ora si tratta di una riduzione del cuneo fiscale da 3 miliardi e di un assegno medio di 200 euro per i figli; per quel che riguarda l’Irpef non è chiaro quale modello verrà adottato: l’aliquota unica progressiva come in Germania o l’accorpamento delle aliquote centrali del 27% e del 38%. I lavoratori autonomi dovrebbero avere un sollievo dalla fine del sistema degli acconti grazie a un regime basato sui flussi di cassa effettivi.

Si tratta di ritocchi o aggiustamenti anche significativi, ma che non sono quella riforma complessiva della quale si era tanto parlato. E le coperture? Anche qui si discute di agire su detrazioni, deduzioni e agevolazioni varie che oggi infittiscono la giungla fiscale, il rischio è che alla fine tra quel che si toglie e quel che si aggiunge il risultato non sia troppo diverso. Manca del resto un’indicazione di carattere generale: il Governo dovrebbe dire se vuole ridurre la pressione fiscale nel suo insieme (tasse dirette, indirette, contributi e quant’altro), di quanto e in quanto tempo. Un calendario non è stato ancora annunciato. Né cifre né tempi, per ora alla cornice manca l’intero quadro che non sarà certo dipinto in questi tre giorni.