Il presidente della Repubblica Mattarella ha detto di confidare che la ripresa dell’economia sia veloce e il ministro dell’Economia Franco ha evidenziato che se l’uscita dalla pandemia sarà rapida, l’Italia potrà crescere quest’anno più del 4,5% stimato dal Governo nel Def. È possibile un risultato del genere tenendo anche conto del primo trimestre chiuso con un -0,4%?
Per Marco Fortis, direttore della Fondazione Edison e docente di Economia industriale all’Università Cattolica di Milano, «lo scenario del primo trimestre, su cui ha pesato il blocco delle attività terziarie un po’ ovunque in tutta Europa, dice ben poco su quello che accadrà nel resto dell’anno. Le previsioni sono tutte in miglioramento. A parte quelle della Commissione europea, che ha alzato le sue aspettative sul nostro Pil dello 0,8% in soli tre mesi, ci sono altre istituzioni che hanno stime persino più alte di quelle del nostro Def».
Quali?
Per esempio, Prometeia indica un +4,7% per quest’anno e un +4,3% per il prossimo. Deutsche Bank ipotizza addirittura un +4,9% per il 2021 è un +5,1% nel 2022, ben sette decimali in più della stima della Commissione europea. C’è quindi una tendenza a vedere una forte ripresa italiana.
Da cosa può dipendere questa tendenza?
Secondo me, da due considerazioni. La prima concerne la resilienza dell’economia reale italiana una volta venute meno le misure restrittive. Vi sono già segnali di un significativo miglioramento anche rispetto ad altri Paesi europei. La seconda riguarda la confidenza sul fatto che il Pnrr, affidato a un Governo guidato da una personalità come Draghi e con tecnici di indiscusso valore e prestigio, possa tradursi in un successo a dispetto della diffidenza con cui viene sempre un po’ guardata l’Italia quando si tratta di attuare le riforme.
Sicuramente la seconda considerazione è a più nota. Ci potrebbe invece parlare meglio della prima?
A prescindere dal Pnrr, l’economia italiana mostra già dei segnali di resilienza. Non a caso, nel primo trimestre, che si è chiuso in negativo, abbiamo avuto settori con indicatori di crescita piuttosto significativi. Prendiamo l’indice di produzione delle costruzioni destagionalizzato con base 2015 uguale a 100. Rispetto al primo trimestre del 2019, quindi un anno prima del Covid, l’Italia ha fatto registrare un incremento dell’8,2%, contro il +1% della Germania, il -6,3% della Francia e il -18% della Spagna. Abbiamo quindi un settore delle costruzioni che, grazie anche alle operazioni di ristrutturazione incentivate, ha vissuto un’accelerazione che naturalmente si riverbera sui settori che lo riforniscono: materiali da costruzione, macchinari, componentistica, ecc. Il nostro Paese, inoltre, sta andando bene anche sul fronte delle esportazioni.
Ha qualche numero interessante in merito?
Prendendo i dati grezzi in valore, e confrontando febbraio 2021 con febbraio 2019, quando il Covid non c’era, vediamo che l’export tedesco è sceso dello 0,5%, quello francese del 10,2%, mentre quello italiano è cresciuto dell’1,4%. Lo stesso raffronto relativo al mese di marzo vede la Germania con un +7,4%, l’Italia con un +9,1% e la Francia con un -3,9%. In buon sostanza abbiamo una manifattura in ripresa, un export che mostra segnali di vivacità e le costruzioni in crescita grazie anche ai bonus. Considerando la ripresa del turismo e dei servizi, oltre ai primi effetti del Pnrr, credo a mio avviso ci siano le condizioni che giustificano ritocchi all’insù nelle previsioni sul Pil. Siamo in presenza di un ottimismo basato sia sulla speranza che il Pnrr venga attuato in maniera risoluta competente, sia sul fatto che l’economia italiana non ha avuto una crisi di competitività, ma da lockdown e presenta ancora segmenti capaci di reagire.
Un ostacolo a una crescita superiore alle previsioni, oltre che una ripresa dei contagi, può essere quindi rappresentato dalla politica che frena l’attuazione del Pnrr…
Mi sembra che in queste settimane ci sia una sorta di teatrino in cui i partiti cercano di sembrare protagonisti in un momento in cui devono invece fare un passo indietro. È come se non volessero ammettere che per gestire questo piano ci vuole un Governo che, come in tempi di guerra, deve agire in condizioni emergenziali. Ovviamente sanno bene che le cose stanno così, tant’è che hanno dato un mandato a una personalità e a un Governo per questa operazione straordinaria. Tuttavia non
possono dare l’impressione ai loro elettori che ci troviamo in questa fase in cui devono fare un passo indietro per un certo periodo di tempo. E per questo cercano spazi di protagonismo.
Tra l’altro si sta discutendo non poco della fine del blocco dei licenziamenti. C’è il rischio, secondo lei, di una ripresa senza occupazione nel nostro Paese?
Penso ci sarà una fase di assestamento complessa perché vedremo le conseguenze innescate dal Covid sui modelli di consumo, di logistica, di organizzazione della produzione e dei servizi che avranno effetti contrastanti. Non mi aspetto un tracollo dell’occupazione: ci saranno situazioni critiche che verranno compensate da altre che invece saranno espansive. Da una parte, avremo aziende che erano già in situazione critica prima della pandemia o alcuni settori dei servizi che dovranno affrontare profonde ristrutturazioni. Dall’altra, tantissimi comparti che ripartiranno e che creeranno opportunità di lavoro: già ora nel settore dell’edilizia non si trovano addetti e immagino che nel turismo ci sarà rimbalzo importante dell’occupazione. È ovvio che non si tratta però del posto fisso di una volta.
Con una ripresa persino superiore alle attese, non c’è il rischio che cambino le politiche europee monetarie e fiscali?
Credo che l’Europa in questo momento sia fortemente orientata verso una politica di New Deal, anche se non mancano rigurgiti nostalgici fuori dal tempo come dimostrano le recenti dichiarazioni di Schauble. La Commissione europea, tuttavia, non mi pare ora dominata da posizioni “falchiste”, ma anzi mi sembra sia consapevole che se l’Europa non rilancia adesso la propria economia tra 3-4 anni si troverà ben lontana da Cina e Usa. L’Eurozona ha essenzialmente quattro pilastri: Germania, Italia, Francia e Spagna. Immaginare che si possa andare avanti senza che tutti questi quattro Paesi, non uno di meno, si irrobustiscano ed escano forti da questa crisi è un’assurdità.
(Lorenzo Torrisi)
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