Mai come oggi il cambiamento è una, anche drammatica, realtà quotidiana. La forza dirompente del virus, e delle misure necessarie a contrastarne l’avanzata, si è presentata all’improvviso a un mondo già alle prese con una serie di rivoluzioni capaci di sconvolgere i rapporti umani, sociali e politici. E il cambiamento genera incertezze, ansie, difficoltà di comprensione e di azione.
Il mondo digitale ha cambiato il modo di comunicare, le grandi capacità di memoria e di gestione dei dati hanno fatto irruzione nei tradizionali rapporti economici, l’intelligenza artificiale e i robot hanno spiazzato il tradizionale metodo fordista della divisione del lavoro, la grande rete degli scambi e delle catene del valore ha disegnato una globalizzazione che l’effetto Covid ha solo in piccola parte ridimensionato.
Questi terremoti sociali si sono presentati in gran parte come opportunità. Ad esempio, l’automazione consente di lavorare meno e lavorare meglio, affidando alle macchine i compiti più nocivi e pericolosi. L’avvento di internet ha permesso comunicazioni più rapide, affidabili ed economiche: l’era degli smartphone ha reso il mondo quel villaggio globale tratteggiato da McLuhan. Ma l’altra faccia della medaglia è l’ampliamento delle disuguaglianze, sia all’interno degli Stati, sia tra le diverse nazioni. Così come la crescente emergenza climatica con la difficoltà di adottare misure per frenare il riscaldamento globale.
C’è un cambiamento che riguarda tutti. Non solo nelle sue conseguenze, ma anche nelle responsabilità individuali. È evidente che la lotta alla pandemia passa sia attraverso un sistema sanitario efficiente e in grado di rispondere alle emergenze, così come dalle responsabilità individuali a livello di comportamenti corretti, capaci di prevenire il contagio.
Non è facile cavalcare l’onda senza esserne travolti, ma tutto si gioca nell’essenziale equilibrio tra una politica basata sulle competenze e una partecipazione convinta e informata dei cittadini. È questo il doppio binario su cui si muove la riflessione di Marco Magnani, docente in diverse università tra Italia e Stati Uniti, nel suo ultimo libro “L’onda perfetta” (Ed. Luiss, pagg. 150, € 14), un testo dove si passano anche in rassegna alcune delle più significative storie aziendali in cui il cambiamento dello scenario si è risolto in una sconfitta, come nel caso di Blockbuster, un’azienda di rapido successo e di altrettanto rapido declino, oppure in un successo come nel caso Fuji, che al contrario di Kodak ha saputo superare l’abbandono delle pellicole fotografiche con una coraggiosa diversificazione produttiva basata anche su importanti investimenti nella ricerca per non disperdere il know-how acquisito.
Per cavalcare l’onda del cambiamento è necessario ricorrere, sia a livello personale che sociale, a tutte le migliori risorse: il coraggio di guardare in faccia la realtà, senza nascondersi dietro la comodità delle ideologie; la forza della creatività perché non ci sono soluzioni vecchie per i problemi nuovi; la volontà di condividere perché non si può uscire dalla crisi da soli. E questo vale tanto più nella prospettiva politica: le ricette del sovranismo, del nazionalismo, del protezionismo possono avere facile presa sul sentimento popolare, ma non possono che aggiungere problemi invece che avvicinare le pur difficili soluzioni. In questa prospettiva invece il ruolo dell’Europa può essere decisivo, un’Europa che ha già fatto passi in avanti con la sospensione del Patto di stabilità, il ruolo di sostegno della Banca centrale, il varo del Fondo Next Generation per la ripresa.
La strada da compiere – suggerisce Magnani – “è cercare di comprendere a fondo le ragioni del cambiamento e farne tesoro, ricostruire nuovi e più stabili equilibri tenendo conto delle fragilità di quelli passati. L’obiettivo è cercare di cogliere le opportunità. In quest’ottica sono fondamentali la capacità di apprendere e quella di adattarsi”.