La crescita economica italiana nel 2022 rischia di dover fare i conti con un doppio freno. Come ci spiega Mario Baldassarri, ex viceministro all’Economia e Presidente di EconomiaReale, il primo è rappresentato dal caro energia, e sta di fatto già rallentando consumi e produzione, mentre il secondo ha a che fare con la prospettiva sempre più concreta della fine delle politiche accomodanti da parte della Bce entro la fine dell’anno.



Professore, contro il caro energia il Governo ha appena approvato un nuovo decreto. Cosa ne pensa?

Credo che con molta onestà intellettuale e trasparenza, proprio durante la conferenza stampa seguita al Consiglio dei ministri di venerdì scorso, il ministro dell’Economia Franco abbia fornito numeri molto eloquenti: a fronte di rincari che dallo scorso ottobre al prossimo giugno comporteranno aggravi per famiglie e imprese pari a 59 miliardi di euro, il Governo ha finora messo in campo sostegni pari a 14,5 miliardi. Il che vuol dire che – sempre che il prezzo del gas diminuisca nei prossimi mesi come ipotizzato dall’esecutivo – famiglie e imprese hanno già pagato e pagheranno 44,5 miliardi di euro in più a causa del caro bollette. E non è molto complicato valutare l’effetto di tutto ciò sulla crescita dell’economia nel 2022.



Cosa ci può dire in merito?

Che ci sarà una pesante riduzione del potere d’acquisto delle famiglie e un forte aggravio dei costi di produzione per le imprese, oltre che un taglio dei loro investimenti. Tutto questo vale come minimo un punto di Pil, quindi la crescita per il 2022 stimata dal nostro centro studi intorno al 4,5% si ridurrà al 3% circa. Sempre che non scoppi la guerra in Ucraina e che dopo giugno il prezzo del gas torni a livelli più ragionevoli. Diversamente famiglie e imprese avranno ulteriori aggravi sulle bollette nel terzo e quarto trimestre dell’anno.

Diversi partiti chiedevano uno scostamento di bilancio per mettere sul piatto molte più risorse. Si può fare?



Come mostrano i numeri poco fa citati, i provvedimenti finora adottati sono tamponi, ma un forte scostamento di bilancio creerebbe sicuramente problemi seri sul fronte dei conti pubblici in un momento in cui c’è la prospettiva di una Bce che tenderà ad aumentare i tassi di interesse. Diventa quindi cruciale la scelta sul posizionamento strategico strutturale dell’Italia in campo energetico. Forse non ci rendiamo conto che da questo punto di vista la situazione del nostro Paese è peggiore rispetto a quella di quarant’anni fa al momento della crisi petrolifera.

Davvero?

Consideri che allora avevamo ancora 5 centrali nucleari e il 20% di energia prodotta con l’idroelettrico. Non solo negli anni successivi abbiamo detto addio all’atomo, ma abbiamo anche sviluppato fonti alternative, come il fotovoltaico e l’eolico, meno affidabili (dipendono molto dalle condizioni meteorologiche) e che ci sono costate molto in termini di sussidi e incentivi. Inoltre, non abbiamo nemmeno costruito adeguati rigassificatori e non abbiamo pertanto alternative ai gasdotti. Infine, si è sempre più ridotta l’estrazione di gas nazionale (dai 21 miliardi di metri cubi di qualche anno fa ai 3,2 miliardi del 2020), con il paradosso che è aumentata quella di Paesi confinanti con le nostre acque territoriali come la Croazia. Il risultato è che l’attuale crisi del gas, leggermente meno impattante di quella petrolifera degli anni ’70, ci trova in una condizione molto più debole.

Come si potrebbe migliorare la nostra condizione?

Il convitato di pietra in questo dibattito è il nucleare. Non a caso Macron, in un Paese che già ha 58 centrali, ed è quindi toccato enormemente meno dalla crisi del gas, ha annunciato che ne verranno costruite altre 8. Noi, invece, abbiamo varato incentivi per la transizione dell’automotive verso l’elettrico che valgono per i prossimi otto anni l’equivalente del costo di costruzione di due centrali nucleari. Io sono favorevole all’auto elettrica, ma mi chiedo: come faremo a produrre tutta l’energia necessaria a caricare le batterie di queste vetture una volta che sostituiranno l’attuale parco macchine? E come le smaltiremo quando saranno arrivate a fine vita?

Il caro energia influisce sull’inflazione che a sua volta aumenta la possibilità della fine di politiche accomodanti da parte della Bce. Per l’Italia c’è una situazione che si farà complicata nei prossimi mesi?

Di fatto dovremmo fronteggiare due pesanti freni alla crescita. Il primo è già attivo ed è rappresentato dall’aumento del costo del gas e dell’energia elettrica, che riduce il potere d’acquisto delle famiglie e penalizza le imprese. Il secondo lo si intravvede all’orizzonte e riguarda appunto l’aumento dei tassi di interesse, che, al di là del tema della sostenibilità del debito pubblico, rallenta anche l’economia.

Come poter rimuovere il primo freno l’ha già detto. Cosa si può fare invece in merito al secondo?

Occorre realizzare rapidamente e bene il Pnrr e, come ho scritto nei giorni scorsi sul Sole 24 Ore, sfruttare la finestra dei prossimi 4-5 mesi in cui Draghi ha meno possibilità di essere sfiduciato per presentare in Parlamento 4 grandi riforme strutturali: Fisco, Concorrenza, Giustizia e Pubblica amministrazione. Questo è l’unico modo per potersi presentare con credibilità e determinazione al tavolo europeo per discutere la ridefinizione dei parametri di finanza pubblica chiave per il futuro del Patto di stabilità. Nel frattempo speriamo che non scoppi una guerra in Ucraina. Anche perché le sanzioni economiche di cui si parla penalizzano non solo chi le riceve, ma anche chi le applica. Si tratta di un gioco a somma negativa per tutti, una partita in cui tutti perdono e che quindi è meglio non giocare.

(Lorenzo Torrisi)

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