La telefonata Draghi-Putin di giovedì, che ha fatto dire al presidente del Consiglio di non vedere “spiragli di pace”, è servita al Cremlino per fare una controproposta (sblocco del grano in cambio del ritiro delle sanzioni) di cui non si conoscono gli sviluppi. La telefonata di Draghi è apparsa anche come un modo per salvare l’iniziativa italiana dopo la sonora bocciatura, da parte di Mosca, del “piano italiano” di pace, definito “non serio” dal ministro degli Esteri Lavrov e dal vicepresidente del Consiglio di sicurezza della Federazione Russa Medvedev.



Ma trattative vuol dire, oltre che volontà politica, ipotesi concrete su cui lavorare, ed è qui che cominciano i problemi. Secondo Enzo Cannizzaro, ordinario di diritto internazionale nell’Università di Roma La Sapienza, l’iper-realismo di Kissinger “non sembra il modo ideale per avviare un negoziato”. Occorre “conferire ai territori contesi forme spiccate di autonomia o addirittura uno status di territorio internazionalizzato”.



A Davos, l’ex segretario di Stato Usa aveva detto che per arrivare alla pace l’Ucraina dovrebbe non solo diventare neutrale, ma fare rinunce territoriali, riconoscendo almeno in parte il nuovo status quo.

Non possiamo giudicare il piano italiano, circolato soltanto attraverso articoli di stampa. Tuttavia c’è da presumere che sia stato respinto perché prevedeva l’integrità territoriale ucraina e l’autonomia delle aree contese. Se questi sono punti dirimenti, quali sono le sue osservazioni?

La circostanza che due personalità politiche russe di alto livello abbiano respinto in maniera decisa, se non sprezzante, il piano italiano significa che la Russia non è disposta a fare compromessi. Ma il piano italiano è stato anche respinto in maniera decisa da personalità politiche ucraine. Insomma, siamo in un momento in cui nessuna delle due parti ritiene possibile un compromesso. 



E nel merito della proposta?

Sembra che il piano italiano prevedesse la neutralità dell’Ucraina e uno status di autonomia, forse sotto il controllo internazionale, per i territori contesi della Crimea e del Donbass. A me pare che ambedue le proposte siano tuttora un ragionevole punto di partenza per un negoziato. Tuttavia esse sono osteggiate da ambedue le parti. Persino la neutralizzazione dell’Ucraina, che rappresentava mesi fa un punto di potenziale convergenza, sembra ormai fuori gioco. Temo che, fino a quando le parti avranno la sensazione di poter vincere la partita sul terreno militare, sarà difficile trovare una soluzione negoziata.

La neutralità di Kiev come parte di un accordo sarebbe compatibile con il suo ingresso nella Ue?

La neutralità dell’Ucraina non è giuridicamente un ostacolo alla sua adesione nell’Unione. L’Unione annovera già Stati neutrali fra i suoi Stati membri. Certo, la neutralità degli Stati membri dell’Unione è una neutralità unilaterale, mentre la neutralità dell’Ucraina, qualora si realizzi, dovrebbe avere carattere internazionale. 

In che modo?

Al fine di rappresentare una garanzia sia per l’Ucraina che per la Russia, la neutralità ucraina dovrebbe essere garantita da un trattato internazionale. La compatibilità fra lo status di neutralità e lo status di membership dell’Unione dipenderebbe dalle clausole del trattato di neutralizzazione. 

Questo sotto il profilo del diritto internazionale. E sotto quello politico?

Dal punto di vista geopolitico il discorso è ben diverso. L’adesione dell’Ucraina all’Unione verrebbe interpretata dalla Russia come una scelta difficilmente reversibile per il campo occidentale e renderebbe più difficile il percorso negoziale. 

Secondo Henry Kissinger, Kiev dovrebbe cedere a Mosca la Crimea e il Donbass. Posizione subito respinta da Zelensky, che respinge lo status quo come base di trattativa. Che ne pensa?

La prospettiva evocata da Kissinger, di carattere iper-realista, non sembra il modo ideale per avviare un negoziato. È difficile che l’Ucraina accetti cessioni territoriali con gli eserciti in campo, a meno che tale accettazione non faccia seguito a una debellatio. Se vi è una possibilità di negoziato in una crisi difficilissima occorre ricercare soluzioni intermedie. 

Ad esempio?

Proposte più moderate, quali conferire ai territori contesi forme spiccate di autonomia o addirittura uno status di territorio internazionalizzato, potrebbe aiutare ad avviare il negoziato. 

Non crede che il fattore-tempo giochi a sfavore dell’Ucraina?

Difficile dire cosa accadrà in futuro sul piano militare. Gli Stati occidentali, che hanno massicciamente armato l’esercito ucraino, temono che attacchi ucraini sul territorio russo avvalendosi di armi occidentali possano spingere la Russia a forme di rappresagli che ingenererebbero una escalation difficilmente controllabile. L’Ucraina ha il diritto di determinare i propri obiettivi militari a fini di autodifesa, ma gli Stati che la sostengono hanno la preoccupazione, giustificata, di circoscriverla, evitando che si trasformi in un conflitto globale. 

La Crimea era un problema aperto già prima del 24 febbraio. In che modo il diritto internazionale può contribuire a trovare una soluzione?

Il diritto internazionale considera che modifiche dei confini attraverso l’uso della forza siano illegittime. Lo status della Crimea dovrebbe allora essere determinato attraverso il negoziato. Ci sono tante soluzioni disponibili, ivi compreso un percorso guidato da istituzioni internazionali che ne determini lo status definitivo, anche sulla base del consenso delle popolazioni interessate.

L’invio delle armi è una forma di uso della forza? È per questo che i Paesi membri della Nato avrebbero concordato in modo informale di non fornire alcuni tipi di armi all’Ucraina?

La fornitura di armi è, come ho scritto, una forma minore di uso della forza internazionale, la quale, proprio in quanto “minore”, non giustifica, di per sé, la legittima difesa contro gli Stati che forniscono le armi. 

Quindi?

La Russia ben potrebbe adottare contromisure proporzionate, quali, ad esempio, colpire i convogli che trasportano le armi sul suolo ucraino. Non potrebbe, però, compiere azioni militari contro tali Stati che allarghino il conflitto al di là dell’attuale teatro di guerra. Ma se le armi occidentali venissero usate massicciamente al fine di colpire obiettivi nel territorio russo, la crisi si avviterebbe in una escalation senza fine. 

Intanto Boris Johnson avrebbe proposto a Zelensky la creazione di un Commonwealth europeo sotto la leadership del Regno Unito e comprendente Ucraina, Polonia, Estonia, Lettonia e Lituania, e forse la Turchia. 

Proposte fantasiose come queste non posso commentarle.

(Federico Ferraù)

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