Un test italiano dirà quando vaccinarsi di nuovo contro il Covid. Merito di un team di ricercatori dell’IRCCS di Candiolo che, con l’Italian Institute for Genomic Medicine (IIGM), nel laboratorio Armenise-Harvard di Immunoregolazione, ha sviluppato un test del sangue in grado di valicare i limiti degli attuali sierologici. Detto in altri termini, tale esame consiste nella quantificazione dei linfociti T della memoria, misurando e quindi verificando se il sistema immunitario abbia ancora munizioni per fronteggiare il virus o se necessiti di essere potenziato con una nuova dose del vaccino.
A rivelarlo è l’agenzia giornalistica “AGI”, che ricorda come la reazione immunitaria specifica è composta da due tipi di cellule, i linfociti B e i linfociti T, i primi responsabili della produzione di anticorpi, i secondi della risposta cellulare contro il virus, ovvero del riconoscimento e dell’eliminazione delle cellule infettate. Valutare e misurare con un test la presenza di linfociti T reattivi è dunque fondamentale: “Avere gli anticorpi non significa per forza essere protetti dall’infezione, perché nel tempo questi calano e non sono sufficienti a proteggere dal contagio, ragione per cui si è optato per la dose booster”, ha dichiarato Luigia Pace, responsabile di questa ricerca presso l’IRCCS di Candiolo Laboratorio di Immunologia Oncologica e responsabile del Laboratorio di Immunoregolazione presso l’IIGM, tra gli autori dello studio.
TEST ITALIANO DIRÀ QUANDO VACCINARSI DI NUOVO CONTRO IL COVID: “LE CELLULE T…”
La dottoressa Pace, sugli spazi di “AGI”, parlando del test Covid, ha reso noto poi che le cellule T sono ‘allenate’ a riconoscere molte porzioni della proteina spike del virus, e risentono molto di meno delle variazioni introdotte dalle mutazioni delle nuove varianti mai incontrate in precedenza. Nello studio, condotto su oltre 400 soggetti, sottoposti a vaccino mRNA Pfizer, è stata analizzata la reazione immunitaria contro il virus, cioè le risposte delle cellule B che producono gli anticorpi, e la risposta dei linfociti T di memoria contro la proteina Spike di SARS-CoV-2 o derivata dalle varianti Beta, Delta e Omicron, fino a 10 mesi dopo la vaccinazione.
“In base alla produzione di anticorpi e alla qualità delle risposte delle cellule B e T specifiche contro il virus a 3 mesi dopo la prima dose di vaccino, abbiamo identificato due categorie di soggetti – ha detto l’esperta –: quelli con una capacità di risposta superiore presentano un aumento della frequenza delle cellule T anche dopo la dose di richiamo. In pratica, queste persone hanno una maggiore capacità di neutralizzazione del virus rispetto ai soggetti che presentano una bassa risposta. Nell’insieme, questi risultati dimostrano che le cellule T di memoria specifiche e con proprietà poli-reattive contro le varianti, sono determinanti nella riduzione del rischio di infettarsi con le varianti Omicron e sviluppare il Covid-19″.