Vi è un antico adagio che recita: “I soldi fanno la felicità”. Da tempo ci si interroga su quale sia la risposta corretta da fornire di fronte a tale interrogativo e a mettersi alla prova, recentemente, è stata anche la scienza, in particolare il dipartimento di Scienze Psicologiche della Purdue University, negli Stati Uniti d’America, che ha stabilito come i soldi migliorino effettivamente la qualità della vita e dell’umore, a condizione però che non si vada oltre a una certa soglia di guadagno, al di là della quale qualsiasi sensazione o emozione positiva si eclissa, svanendo al pari di neve al sole.



Tale lavoro di ricerca ha trovato spazio sulle colonne della rivista “Nature Human Behaviour” e in esso si dice espressamente che esiste un tetto massimo di entrate che non deve mai essere valicato per essere continuamente soddisfatti. In particolare, anzi, in media, “bastano” (si fa per dire) 95mila dollari all’anno per ciascun individuo: un qualcosa come 80mila euro ogni dodici messi, naturalmente al netto delle tasse.



QUANTI SOLDI OCCORRONO PER LA FELICITÀ? C’È ANCHE UN TETTO MINIMO

A dire il vero, lo studio fissa anche un tetto minimo di soldi guadagnati attualmente per riuscire ad affrontare la vita con serenità: si parla di un reddito tra i 48 e i 60mila euro annui, anche se per le famiglie con bambini si stima che si debba alzare un po’ l’asticella. I massimali sono stati definiti dai ricercatori con l’aiuto della World Gallup World, aggiungendo: “I soldi rendono felici se soddisfano necessità primarie, come avere una casa, fare fronte alle spese, condurre una vita dignitosa. Soddisfatte queste, il rischio è di entrare in una spirale di bisogni indotti e superflui che non favoriscono la serenità”. A tal proposito, non incide la diversità di genere: che si tratti di un uomo o di una donna, le quote non variano. Inoltre, chi ha effettuato un percorso di studio più lungo gode di una maggiore soddisfazione quando raggiunge standard economici significativi, probabilmente perché sottoposto a un continuo confronto con i suoi “simili”.

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