Quanto durerà la tragica guerra di Putin in Ucraina? Parte obbligatoriamente da questo interrogativo qualsiasi riflessione sull’impensabile: sul fatto, cioè, che le armi siano state dispiegate nel 2022, in Europa, da una potenza nucleare. Il nostro interrogativo muove innanzitutto dallo sgomento per la popolazione civile dell’Ucraina. Allo stesso tempo, però, crediamo che molto, sul piano degli effetti nei confronti dell’economia italiana e lombarda, dipenda dalla risposta che i fatti consegneranno. L’incertezza, al momento, è lo stato d’animo più diffuso.



Di certo, già oggi le sanzioni finanziarie e commerciali nei confronti della Russia non sono gratis per noi. Questo provoca giustificate preoccupazioni, che però vanno calibrate una volta presa consapevolezza delle effettive proporzioni e della specifica caratterizzazione dell’economia russa. Come ben evidenziato da Daniel Gros in un articolo d’opinione sul blog Project Syndacate, il Pil russo vale all’incirca come quello italiano. La Russia è quindi un Paese ragguardevole per ricchezza prodotta, ma pur sempre non un gigante come Stati Uniti e Cina. L’intero export russo, poi, vale solo la metà dell’export dei tedeschi, mentre una forte aliquota dei proventi realizzati da Mosca deve servire al mantenimento delle amplissime infrastrutture necessarie per il collegamento interno del Paese.



Come noto, la gran parte della ricchezza russa dipende dall’estrazione e dall’esportazione di risorse naturali come il petrolio e il gas naturale. La caratterizzazione “fossile” dell’economia russa è una chiave di senso irrinunciabile per leggere il tradizionale legame commerciale fra Mosca e Roma. Come riportato anche dalle nostre maggiori testate nazionali (fra le altre, il Corriere Economia), l’Italia è arrivata a importare dalla Russia tanto gas metano da coprire il 45% del proprio fabbisogno. Questo dato, peraltro, non ha inficiato un rapporto commerciale nel complesso favorevole per l’Italia e per la Lombardia. È emblematico che durante il 3° trimestre del 2021 – in un momento non ancora propriamente post-pandemico, e già scosso dai rialzi dei prezzi energetici di cui si dirà infra – il saldo commerciale lombardo nei confronti della Russia è comunque rimasto positivo, nell’ordine di circa 990 milioni di euro (elaborazione di Confartigiano Lombardia).



Queste brevi note consentono di inquadrare la fondamentale caratterizzazione degli scambi economici fra Italia e Lombardia, e Russia. L’import russo garantisce materie prime ed energia. È stato questo, finora, il carburante necessario alla locomotiva manifatturiera lombarda, fortemente energivora se si sta ad alcune produzioni di eccellenza (si pensi alla siderurgia e a colossi come Tenaris Dalmine e Feralpi). Allo stesso tempo, la Russia ha pure costituito un consistente mercato di sbocco per i prodotti dell’industria e dell’artigianato lombardi. Il comparto moda e in generale i comparti del lusso e del lifestyle (calzaturiero, legno e arredo…) meritano di essere richiamati. E però, la parte del leone spetta probabilmente al segmento ad alto valore aggiunto dei macchinari e delle apparecchiature industriali, fiore all’occhiello della metalmeccanica in Italia e in Lombardia come affermato da una recentissima pubblicazione. Proprio l’export di beni di consumo e di lusso, oltre che di beni strumentali alla manifattura, ha consentito in buonissima misura il raggiungimento del saldo commerciale positivo già citato (saldo, peraltro, in contrazione fin dalla crisi in Crimea del 2013 e 2014, secondo Confartigianato nazionale).

La dinamica commerciale così definita dev’essere ora problematizzata, alla luce dello sconvolgimento geopolitico dell’invasione armata dell’Ucraina. Le sanzioni europee, e soprattutto l’esclusione di importanti banche russe dal sistema Swift delle transazioni finanziarie, hanno infatti impresso un’ulteriore formidabile impennata al già presente trend di aumento dei prezzi di petrolio e gas metano. Come anche scritto da Carlo Stagnaro dell’Istituto Bruno Leoni, il prezzo del gas faceva registrare un andamento incrementale fin dalla metà del 2021. Oggi, però, anche a seguito della “operazione militare speciale” di Putin, il suo prezzo di scambio ha raggiunto la quota monstre dei 290 euro per megawattora (contro i 18 euro di – ormai lontani – tempi di pace).

Questa situazione causa allarme, non solo in virtù del preoccupante fenomeno della povertà energetica (denunciato a tempo debito dai ricercatori ETUI), ma anche per gli effetti negativi prodotti sulla sostenibilità dei costi presso le imprese italiane e lombarde. Soprattutto nei settori energy intensive (pur considerandosi i contesti aziendali più virtuosi), l’aumento dei costi connesso all’incremento dei prezzi dell’energia non potrà che erodere i margini di profitto conseguibili sul mercato. E ciò con ricadute negative prima sulla redditività e sul tasso di crescita delle imprese, quindi sulle possibilità di redistribuzione liberate dalla contrattazione collettiva.

Non solo “costi” però. La situazione di grave incertezza, connessa alla campagna militare di Putin in Ucraina, potrà pure frenare nuovi investimenti e progetti d’impresa. È questo un aspetto da monitorare con attenzione. Del resto, la già citata caratterizzazione dell’export lombardo (particolarmente competitivo nel comparto dei macchinari e delle apparecchiature) richiede che altre industrie in altri Paesi siano disposte a investire e a fare squadra.

Freno all’export, aumento dei costi delle gestioni aziendali, e congelamento dei nuovi investimenti sono i fattori di contesto negativi per i quali, per adesso, non si intravedono possibilità di risoluzione. Certo, sarà decisivo che i tempi della crisi ucraina (con il suo carico insopportabile di vittime civili) non si protraggano oltremodo, mentre non piace che, in questa fase, l’unica performance finanziaria in forte controtendenza sia quella di Leonardo, eccellenza manifatturiera italiana (e lombarda) nella produzione di armi, il cui titolo di recente è stato sospeso alla Borsa di Milano per eccesso di rialzo.

Vista l’attuale congiuntura, il maggior scotto in campo sociale rischia di essere pagato dalle lavoratrici e dai lavoratori. La loro protezione s’è resa oltremodo complessa. Come rilevato da Istat, le famiglie stanno già oggi facendo i conti con un’accelerazione inedita dell’inflazione su base tendenziale. Questa accelerazione, sostenuta dall’aumento del prezzo dei beni energetici, ha le potenzialità per mettere in crisi i poteri d’acquisto. Se però, allo stesso tempo, la minore redditività delle imprese sembra impedire, nel breve termine, strategie di rivendicazione salariale incentrate sull’aumento sensibile dei trattamenti economici minimi, bene si vede come le attuali tornate contrattuali possano riuscire ostacolate e messe sotto pressione, se non irrimediabilmente compromesse.

Alle incognite aperte sui tavoli negoziali, si aggiunge la preoccupazione per le potenziali conseguenze sull’occupazione del calo di commesse dalla Russia. Nelle aziende più strutturate e di maggiori dimensioni, il calo potrebbe almeno in parte mettere a repentaglio la stabilizzazione dei lavoratori assunti con tipologia contrattuale flessibile (quei lavoratori, in specie, la cui assunzione è stata giustificata dalle esigenze di gestione della ripresa post-pandemica). D’altro canto, nelle micro e piccole imprese più esposte verso il mercato russo, si tratterrà di monitorare attentamente se il calo della domanda, unito all’aumento dei costi energetici, potrà determinare problemi seri ai bilanci, e quindi alla continuità delle esperienze di impresa. 

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