Il lockdown “light” per ora è limitato a un numero circoscritto di regioni ma sembra sempre più probabile un’ulteriore stretta e un’estensione territoriale delle misure. L’altro ieri Bloomberg ha pubblicato un piccolo “scoop” sul costo del lockdown; secondo la società di informazione finanziaria, che sembra riportare il parere di “tecnici”, il lockdown costerebbe circa 10 miliardi di euro al mese necessari per aiutare le società e i lavoratori colpiti dalle restrizioni. Bloomberg assume che le misure non finiranno prima di marzo 2021 e quindi moltiplica la cifra per cinque arrivando a 50 miliardi di euro. Questa cifra è in aggiunta a quella già pagata per le chiusure di marzo e si traduce in circa 1.000 euro a italiano; pochissimo per molti e tantissimo per altri, soprattutto per le famiglie. Per una famiglia di quattro persone, assumendo che nessuno abbia perso il lavoro, sono 4.000 euro. Questo conto si limita a considerare solo il costo “vivo” delle misure nella fase dell’emergenza ed è quindi assolutamente per difetto.
Non si considerano, infatti, almeno due fattori. Il primo è che il lockdown, finito a marzo 2021 in misura più o meno restrittiva, difficilmente finirà in una data puntuale a partire dalla quale tutto tornerà come nel 2019. L’ultima estate, nel 2020, è stata, tutto sommato, una buona approssimazione della normalità sia sociale che economica. Assumere però che il lockdown finisca e non lasci strascichi su regole e divieti è improbabile ed è altrettanto improbabile che non lasci strascichi sulle abitudini delle persone che nel frattempo hanno smesso di andare al centro commerciale, al ristorante o di volare.
Il secondo fattore, ben più importante, è che il costo vivo del lockdown non include i fallimenti e la cessazione di migliaia di attività; un fenomeno che è già osservabile e misurabile prima ancora delle nuove restrizioni. C’è un costo vivo e poi c’è un costo duraturo che si renderà evidente nel numero di disoccupati.
A prescindere da quello che ognuno pensi debba succedere domani queste cifre ci mettono davanti a una realtà inequivocabile. Il lockdown come “misura d’elezione” per la gestione della pandemia è semplicemente insostenibile se non al prezzo di produrre un tale sconvolgimento economico e finanziario che alla fine si tradurrà in uno sconvolgimento sociale e nei rapporti tra cittadino e Stato che legittima le preoccupazioni più fosche. L’invasione dello Stato, per salvare le aziende fallite sussidiare i disoccupati e per riscuotere le tasse necessarie a coprire i buchi, nell’economia e nella vita delle famiglie aprirebbe scenari complicati.
L’altro pezzo di realtà con cui si deve fare i conti è quello delle alternative al lockdown. Se esiste un modo per “convivere” con la pandemia senza chiusure, per esempio raddoppiando o triplicando i posti in terapia intensiva per tempo, questo è certamente e di gran lunga più economico e meno distruttivo dal punto di vista sociale.
Fare i conti con 50 miliardi solo per il costo vivo del secondo lockdown non è un esercizio matematico per insensibili o per gretti materialisti perché questi numeri dipingono una realtà insostenibile nel lungo termine anche dal punto di vista sanitario oltre che da quello sociale. Quando si prendono o non si prendono decisioni politiche bisognerebbe considerare tutti gli elementi. Il lockdown è la misura più facile di tutte: non richiede programmazione, non espone a rischi immediati di sottovalutazione “sanitaria”, rimanda il costo finanziario a un futuro indeterminato dando nel frattempo a tutti l’illusione che sia un tempo sospeso. Poi i conti arrivano e fanno paura per il prezzo finanziario e soprattutto per quello sociale che alla fine comportano.