Per tentare di mitigare il paradosso della Pasqua 2021, con vacanze all’estero sì ma gite fuoriporta no, il ministro della Salute Roberto Speranza ha firmato ieri un’ordinanza che dispone, per chi arriva o rientra da Paesi dell’Unione europea, un tampone in partenza, una quarantena di cinque giorni e un ulteriore tampone alla fine dei cinque giorni (una quarantena più lunga è già prevista per gli arrivi dai Paesi extra Ue). Non è ancora dato sapere con certezza la data d’applicazione della nuova norma, ma è logico supporre sarà immediata, visto l’obiettivo di disincentivare le fughe pasquali. Va detto però che arriva tardi, quando ormai chi doveva prenotare un volo per le Canarie, tanto per fare un esempio, l’ha già fatto e difficilmente si farà condizionare per optare a una rinuncia. Tanto più che negli aeroporti i controlli sugli arrivi generalmente sembra non siano esattamente un esempio di capillarità, per non parlare di quelli sulle quarantene domiciliari…
Insomma, la nuova disposizione del ministro Speranza sta alimentando qualche perplessità, anche tra gli stessi operatori del turismo. “Ed infatti – commenta Bernabò Bocca, presidente di Federalberghi – più delle miniquarantene per i viaggiatori avremmo preferito fossero consentiti gli spostamenti domestici e i soggiorni negli hotel italiani garantiti dalla diffusione dei tamponi per gli ospiti”. “Con la quarantena al rientro dall’estero abbiamo perso tutti – dice Pier Ezhaya, presidente di Astoi Confindustria Viaggi -. Non vediamo il nesso di questa misura sanitaria e non riusciamo a scollegarla dalle polemiche di questi ultimi giorni sul fatto che si possa viaggiare in alcuni Paesi esteri per Pasqua. Perché quest’ordinanza non è stata fatta prima? Sembra voler dire: rendiamo più difficile andare all’estero… Ma anche noi tour operator siamo aziende italiane! E stiamo parlando di due soli charter (da 180 passeggeri), un numero minuscolo rispetto alle gravissime perdite dell’ultimo anno”.
Come si vede, è evidente il cambio di prospettiva sullo stesso problema secondo le varie categorie interessate, tutte facenti capo alla lunga filiera del turismo, ma ognuna impegnata nella difesa delle proprie prerogative e competenze, che a volte, come in questo caso, finiscono con il divergere. “Non serve una guerra tra poveri – ha aggiunto Luca Patanè, presidente Confturismo e vicepresidente Fto (Federazione turismo organizzato) -: non serve la lotta tra hotel, agenzie di viaggio e tour operator. Siamo tutti nella stessa barca, che sta affondando. È passato più di un anno e passeranno ancora mesi prima che si riveda la luce. E non sono quei quattro soldi di ristori che ci possono salvare”.
In realtà, il vero, l’unico concreto salvaturismo sembra sarà il digital green pass Ue: lo ha ricordato ieri la presidente di Federturismo Confindustria Marina Lalli, intervenuta al consiglio generale della sua rappresentanza, in presenza del ministro al Turismo Garavaglia. “Il certificato – ha detto Lalli – – consentirà la circolazione delle persone in totale sicurezza e privacy, e allo stesso tempo non ostacolerà la mobilità di coloro che non avranno ancora effettuato il vaccino. Il Parlamento europeo ha deciso di dare un’accelerazione in questa direzione e ci auguriamo che l’Europa possa trovare presto un accordo per condividere un documento di viaggio che sia rilasciato in vista della stagione estiva che soltanto in Italia, lo scorso anno, ha visto andare in fumo oltre 60 milioni di presenze estere”.
Durante l’incontro si è parlato anche dello stanziamento di 1,7 miliardi di euro a favore del turismo nel Decreto sostegni, risorse giudicate largamente insufficienti. Ma il ministro ha ricordato che quanto messo a disposizione rientra nello scostamento di bilancio deciso dal precedente Governo e riguarda i primi due mesi dell’anno. Garavaglia ha garantito che nei prossimi mesi ci saranno altri scostamenti e in tutti ci sarà una quota consistente a sostegno dell’industria turistica.
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