Nello straniamento portato dal coronavirus in un Paese che si vede, attonito, entrare in quarantena forzata, si aggiunge un imprevisto elemento di novità. È la ripresa di un dialogo tra la maggioranza e l’opposizione, l’abbandono di un atteggiamento da duello permanente con l’accenno a una timida collaborazione. Il senso di responsabilità e la preoccupazione per il destino collettivo sembrano fare premio sull’affermazione delle rispettive ragioni. Le reciproche posizioni vengono difese ma nessuno batte i pugni più di tanto. L’importante in questo momento non è strappare qualche decimale in più nei sondaggi ma contribuire a superare questa prova che da guerra batteriologica non può trasformarsi in una guerra civile.
Succede così che i rappresentanti del centrodestra salgono a Palazzo Chigi la mattina dopo la decisione del governo di chiudere gli italiani ognuno a casa propria. I timori, sui due lati del tavolo, sono gli stessi: che l’epidemia di coronavirus si allarghi in modo incontrollabile, che l’economia già asfittica non riesca più a uscire dalle sabbie mobili, che la metà d’Italia finora sostanzialmente risparmiata dal contagio possa esserne flagellata.
Le richieste del centrodestra vanno in appoggio alle istanze del Nord, soprattutto della Lombardia, che vorrebbe una stretta ancora più severa alla circolazione delle persone lasciando aperti soltanto i negozi di alimentari e fermando i mezzi di trasporto pubblico. Salvini, Meloni e Tajani chiedono pure un supercommissario messo a gestire l’emergenza, in modo che gli interventi siano sempre più coordinati e vi sia una voce unica che parla al Paese.
Giuseppe Conte ha preso tempo su entrambi i dossier. Ma i leader del centrodestra non hanno sottolineato troppo le diverse impostazioni. La battaglia sarà lunga e soprattutto serviranno nuove energie nel momento in cui la macchina produttiva dovrà ripartire. Dall’atteggiamento delle opposizioni sembra prevalere una convinzione comune: non è con Palazzo Chigi che bisogna prendersela in questo momento, ma semmai con Bruxelles che dovrà essere molto più generosa con l’economia italiana, prostrata come non mai.
Del resto, le misure di sicurezza sanitaria sollecitate da Lombardia, Veneto e Piemonte saranno il prossimo passo se l’epidemia non dovesse rallentare a breve ma continuare con la sconcertante galoppata degli ultimi giorni: l’Italia ha ormai 10mila contagi contro gli 80mila della Cina, 1 contro 8, ma in rapporto alla popolazione complessiva gli italiani sono molto più falcidiati. Perciò la serrata anche dei negozi potrebbe imporsi come una scelta obbligata. Nel caso, sarà una decisione che segue la scala progressiva delle ultime settimane.
Ora tutte le forze sono concentrate ad arginare l’avanzata del virus senza deprimere troppo il versante produttivo. Se il Nord (e i suoi rappresentanti politici) premono per tutelare la salute pubblica ed evitare il crollo del sistema sanitario, Conte spalleggiato da Confindustria tende a evitare shock troppo forti. E così, nell’anormalità di questa quarantena nazionale imposta da un nemico ancora inafferrabile, forse si profila un’inedita normalità nel dialogo politico.