L’amore dev’essere sfrenato perché risulti credibile: “Dio, infatti, ha tanto amato il mondo“. Quell’avverbio d’alta quantità – tanto – è un’avvisaglia per il pipistrello: “Chiunque infatti fa il male, odia la luce, non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate“. Comunque appaia, non è nella natura del Cristo amare a metà la sua gente: i suoi affetti, l’amor suo che muove il sole e le placide stelle, è sempre, solo in maniera eccessiva. Tanto! Tant’è che, Vangelo alla mano, l’esagerazione si addice in amore. Tutta l’arte, anche quella d’amare, nasce sempre dall’eccesso: grandi terrori, grandi abbandoni, grandi instabilità. Eccessi che all’arte riesce ogni volta di riequilibrare.
Satàn, che è storpio e pure gobbo in fatto di cuore, sostiene che sia “una regola delle buone maniere quella di evitare le esagerazioni”. Cristo, al contrario, dissente. Sapendo, però, che è necessario un certo stile nel praticare l’arte dell’esagerazione, per non apparir e strafottenti, pure mezzi truffatori. “La verità va esagerata perché risulti credibile” ammaestrò i suoi discepoli: “(Tanto amato) da dare il suo Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto“. In croce segnò, fiato sul collo e chiodi tra le mani, la misura dell’amore. Esagerò. Cristo esagerato, ora pro nobis.
Prima, però, illuminò il mondo a modo suo. A Betlemme “nel fetore delle tenebre, scendiamo l’inferno, senza orrore” scriverebbe il maledetto Baudelaire. Vedendo tutto buio, Cristo accese la luce, pensando di accendere i cuori: “La luce è venuta nel mondo“. La luce, all’inizio, fu la prima creazione di Dio: E luce fu! È stata anche la prima apparizione di Cristo, quando mise piede nella nostra casa. In casa, appunto: la prima qualità di una casa, anche la più importante, è la luce: “Quanta luce fa entrare?”.
Lo stesso vale anche con le persone. Somigliano alle vetrate di casa mia, quella che mamma rende così splendenti da far sì che gli uccelli s’ammazzino addosso, non vedendole: quando c’è il sole scintillano e brillano, ma quando scende l’oscurità dimostrano la loro bellezza solo se dentro c’è una luce accesa. L’assicura Cristo, lo seguono a ruota i poeti: “Il vero amore è come una finestra illuminata in una notte buia – è di Giuseppe Ungaretti –. Il vero amore è una quiete accesa”.
Il fatto, però, sorprese anche un inguaribile ottimista come Cristo: si accorse, lo confidò a Nicodemo, che “gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie“. Cioè, in parole povere, hanno rifiutato chi era venuto ad accendere la luce perché, dentro casa, avevano affari loschi da nascondere nell’oscurità. Da allora, vedere la luce è provare spavento di ciò che andrà ad illuminare. È la legge del pipistrelli: chi arranca da sempre nelle tenebre della propria cattiveria, diventa intollerante alla luce altrui. E, cosa assai curiosa, cercherà inutilmente di spegnerla. Inutilmente: resterà per sempre allergico alla luce maiuscola. A Dio.
Che, però, mai obbligherà alla luce. Il sole illumina la notte più buia, ma a convertirla in luce non ci pensa mai: “Dio ha messo nel mondo abbastanza luce per chi vuol credere, ma ha anche lasciato abbastanza ombre per chi non vuol credere” scrive quel mezzo santo di Pascal. Non-solo-ombra, comunque: “Chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio” (cfr Gv 3,14-21). Da allora, tutto come allora: luce contro tenebre, il bene a pugni col male, vizio sfida virtù. Le tenebre che, gobbe, tenteranno sempre di spegnere la luce; e la luce che, dritta, cercherà sempre di scacciar le tenebre. Cristo, elettricista senza paga, non teme l’ombra, ottimista com’è: “Significa che lì vicino, da qualche parte, c’è una luce che illumina” conforta Nicodemo.
Non è poco vedere una crepa nel muro: è da lì che entra la luce. Che, a seconda della materia da illuminare, potrà esser gentile, defunta, nebbiosa, chiara, sensuale, irriverente, velenosa, lusinghiera. Essere chiari è distribuire equamente luce e ombra. Circa il resto, chi non riesce a fare luce è pregato di non fare ombra.
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