Quando s’era bambini, la Quaresima era il periodo delle piccole rinunce, dell’esperienza penitenziale come dimensione complessiva della vita. La mamma ci guidava, pur con la sua semplicità, in questo percorso che doveva essere un percorso di conversione, di maggiore conversione. Lo sguardo era orientato al Crocifisso, a colui che dopo la lunga agonia quaresimale – cui eravamo chiamati a partecipare – trovava il compimento del proprio destino nella morte e soprattutto nella Resurrezione.
Così, mettendo sul piatto della storia il nostro piccolo digiuno, ci pareva di partecipare e alleviare questa agonia tanto più grande di noi.
Poi, invecchiando, ho incrociato tanti altri digiuni quaresimali. Devo dire che in questo campo la fantasia non manca. E con questo non giudico affatto alcuna forma di creatività. Dal digiuno dell’alcol a quello del fumo, dal digiuno delle carte da gioco a quello del sesso… Ognuno insomma, come da bambini, metteva sul tavolo le proprie “debolezze” e le offriva a quel gigantesco mistero che ogni anno si rinnova.
Chissà perché, mi son sempre chiesto, la Quaresima innescava puntualmente sterzate salutiste. Io che salutista non sono, ho sempre faticato a trovare la mia piccola e matura debolezza da immolare sul tavolo della storia.
Confesso che tra le tante e bizzarre quaresime personali che ho incrociato, quella proposta dal Movimento Laudato si’ è assai particolare: una quaresima del gas, e più in generale, una quaresima che ha nel mirino ogni fonte di energia fossile. L’obiettivo – si legge nell’intervista rilasciata da Cecilia Dall’Oglio (responsabile del Movimento) all’Osservatore Romano – è quello di favorire “riflessioni e azioni concrete” quali “limitare l’uso dei riscaldamenti non solo come segno di solidarietà verso ucraini e altri popoli afflitti, ma anche per definanziare l’economia di guerra”. Il presupposto è appunto che l’economia basata sui combustibili fossili sia intrinsecamente bellicosa.
Ovviamente, come nel caso di tutte le quaresime personali presenti nel catalogo esistenziale, non si può giudicare neppure questo digiuno energetico. Ma poiché si è proceduto a socializzare la rinuncia, qualche riflessione è inevitabile. Almeno a titolo personale.
La prima cosa che fatico a comprendere è l’uso politico di un momento liturgico così importante. Non perché non si debba riflettere sui grandi temi che vengono proposti, ma perché Cesare e Dio abitano case e orizzonti diversi e proprio quando Dio è tutt’altro che Cesare la sua forza di conversione diviene efficace e si fa radicale.
E mi fa sorridere il fatto che fino a qualche tempo fa si predicava il digiuno energetico per la mancanza di energia e che ora lo si faccia – per di più dipingendolo di viola – contro l’eccesso di energia, con l’aggravante della guerra. Ogni studente di storia da “diciotto” sa benissimo che la guerra radica in ogni forma di possesso diabolico, che prescinde dal carbone o dal gas. Dunque, se la guerra radica nella produzione e nel commercio di energia, il digiuno deve riguardare l’energia in sé: solare, eolica o metafisica che sia.
Se poi la questione diviene ecologica – e la cosa in sé è decisamente seria – il rischio di uno scivolamento ideologico è dietro l’angolo. Anzi, peggio. L’ancoraggio disinvolto dell’ecologia alla teologia mi pare che introduca, sul piano della fede, ciò che Alessandro Mangia, proprio dalle pagine del Sussidiario, ha individuato sul piano giuridico: si innesta cioè “una credenza di legittimità” che riguarda, nel nostro caso, l’appartenenza o meno alla sfera della fede. Il problema non è più affrontato e risolto nel Credo o nel Padre Nostro, le due grandi – seppur diverse tra loro – preghiere identitarie. La questione si dissolve in una vaga opinio cristianizzante. L’amore per il pianeta, tanto vago quanto dilagante, facilmente riconducibile al “creato”, si pone così come una sorta di “spinta gentile” verso una possibile e indefinibile fede. Essa perde il suo elemento drammatico che si esprime nella difficile coniugazione di Grazia e di Storia, per divenire – per dirla ancora con Mangia – “credenza sociale”.
I segni di tale processo sono già ben visibili e riguardano l’esteso quanto vago consenso che su questi temi l’opinione pubblica riserva per un magistero che ha come sua prerogativa più evidente la condivisione. Ma l’opinione pubblica non è il popolo di Dio, non si possono sovrapporre, liquefare in un unicum tanto poco identitario quanto fortemente malleabile.
Certo, gesti profetici ce ne sono sempre stati. Penso alla nonviolenza. Ma sempre la Chiesa ha mantenuto – apprezzandoli – nell’alveo della testimonianza tali manifestazioni “radicali”. Penso a Paolo VI e ai suoi decisi distinguo tra pace e pacifismi (che non amava affatto). E sempre Papa Montini riconduceva ogni responsabilità ecologica al primum ecologico: la vita.
Tornando alla Quaresima e al “digiuno del gas” fatico a trasferire il mistero del lutto del mondo sul termostato della mia caldaietta. Eppoi, mi si dica almeno quanti sono i gradi che certificano che il mio sacrificio è in linea con il “catalogo di valori” che alimenta l’attesa della morte e della resurrezione di Nostro Signore.
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