Un respiro grande e ampio, a pieni polmoni. Ecco la prima sensazione suscitata dalla lettura dell’Esortazione apostolica postsinodale Querida Amazonia. Un respiro che ossigena e rischiara la mente, ma anche che fa subito capire quanto fosse mefitica l’aria che si respirava fino a poco fa, e che speriamo nessuno voglia mantenere per sé, non accettando che gli vengano ri-spalancate davanti le finestre della ragione. Certamente, nonostante molti possano essere inclini a pensarlo, non si tratta di un sospiro – magari di sollievo – per uno scampato pericolo tutto da dimostrare: leggere solo in questa chiave le pagine sui temi dell’Eucaristia, del sacerdozio e dei ministeri ecclesiali presenti nel testo di papa Francesco, sarebbe sintomo di una gravissima miopia. Ma neppure ci vedono bene – e respirano bene – quanti sono pronti a ritenere inutili queste pagine, perché non vi hanno trovato quelle agognate “novità dottrinali” da loro ritenute indispensabili, per evitare alla Chiesa una crisi dettata da una sua – presunta – incapacità di camminare al passo con i tempi.



Papa Francesco lo afferma sin dall’inizio: gli sta a cuore mostrare come nel “frammento” (per quanto grande) dell’Amazzonia si concentrino “alcune grandi preoccupazioni” (QA 2) che già ha avuto modo di manifestare in altri testi del suo pontificato, legate a temi “che non dovremmo dimenticare e che possono ispirare altre regioni della terra di fronte alle loro proprie sfide” (QA 5). Ma quali sono questi punti nevralgici per la Chiesa del nostro tempo?



Innanzitutto la preoccupazione per una Chiesa che sappia prendere sul serio la logica dell’incarnazione: che sappia cioè riconoscere di essere chiamata qui ed ora a vivere il vangelo e a ricercare la volontà di Cristo per riproporla nella sua predicazione, nella sua vita di fede, nella sua esistenza comunitaria, evitando di rinchiudersi in schemi fissi che – è indispensabile ricordarlo – nulla hanno a che fare con il valore inestimabile della Tradizione.

Questa capacità di incarnarsi si riflette per papa Francesco in quattro “grandi sogni” (QA 6) per l’Amazzonia, ma anche per tutto il mondo e tutta la Chiesa.



In primo luogo il “sogno sociale”, ovvero quello di un’Amazzonia capace di integrare e promuovere “tutti i suoi abitanti” (QA 8), senza calpestare e schiacciare i più poveri, riscattandosi così da un passato tragicamente segnato da logiche coloniali ancora non abbandonate. Perché questo avvenga è necessario fare memoria del ruolo avuto sin dal tempo della colonizzazione dai missionari, molti dei quali si sono distinti per la capacità di lottare a favore dei diritti degli indigeni: perché la vera risposta sta nel ricordare che “Cristo ha redento l’essere umano intero e vuole ristabilire in ciascuno la capacità di entrare in relazione con gli altri” (QA 22), così da proporre quale vera radice di ogni ricerca di giustizia “la carità divina che promana dal Cuore di Cristo e… che è inseparabilmente un canto di fraternità e di solidarietà, uno stimolo per la cultura dell’incontro” (QA 22). In questo modo il cammino di riconoscimento dei diritti dei poveri diventa allo stesso tempo un cammino di umanizzazione di chi è più fortunato, e che deve salvarsi dalla tentazione del dominio e dell’indifferenza.

Il secondo “sogno” di papa Francesco è quello legato alla rinuncia ad una colonizzazione culturale dell’Amazzonia, da perseguire con un’autentica opera educativa tale da “fare in modo che essa stessa tragga da sé il meglio” (QA 28). In positivo, questo “sogno” significa la promozione di culture fortemente minoritarie, ma portatrici di un “messaggio ancora non ascoltato” (QA 28) e di una “sintesi vitale con l’ambiente circostante”, che costituisce una “forma peculiare di saggezza”, la cui perdita sarebbe un reale danno per tutta l’umanità. Nello stesso tempo, papa Francesco dichiara che anche le culture indigene hanno bisogno di aprirsi al riconoscimento che le loro radici “comprendono la storia del popolo d’Israele e della Chiesa, fino al giorno d’oggi” (QA 33), per essere liberate dalle loro schiavitù. E questo può avvenire solo se si riconosce che questa liberazione non può avvenire senza l’incontro con Cristo, che consiste nell’aiutare “il cuore dell’uomo ad aprirsi con fiducia a quel Dio che non solo ha creato tutto ciò che esiste, ma ci ha anche donato sé stesso in Gesù Cristo. Il Signore, che per primo ha cura di noi, ci insegna a prenderci cura dei nostri fratelli e sorelle e dell’ambiente che ogni giorno Egli ci regala. Questa è la prima ecologia di cui abbiamo bisogno” (QA 41) e in questa ecologia umana e sociale si realizza il “terzo sogno” di papa Francesco, ovvero l’invito ai cristiani a riconoscere e ad aiutare ogni uomo a riconoscere il valore di ogni creatura fatta da Dio, imparando lo sguardo di Cristo su di esse, dal momento che “il Risorto le avvolge misteriosamente e le orienta a un destino di pienezza. Gli stessi fiori del campo e gli uccelli che Egli contemplò ammirato con i suoi occhi umani, ora sono pieni della sua presenza luminosa” (QA 57).

In questo riscoperto e riaccolto compito educativo si fonda il quarto sogno di papa Francesco, il “sogno ecclesiale”, ovvero una partecipazione della Chiesa al riscatto dell’Amazzonia nella quale “pur volendo impegnarci con tutti, fianco a fianco, non ci vergogniamo di Gesù Cristo…” (QA 62) perché “l’autentica scelta per i più poveri e dimenticati, mentre ci spinge a liberarli dalla miseria materiale e a difendere i loro diritti, implica che proponiamo ad essi l’amicizia con il Signore che li promuove e dà loro dignità. Sarebbe triste che ricevessero da noi un codice di dottrine o un imperativo morale, ma non il grande annuncio salvifico, quel grido missionario che punta al cuore e dà senso a tutto il resto. Né possiamo accontentarci di un messaggio sociale. Se diamo la nostra vita per loro, per la giustizia e la dignità che meritano, non possiamo nascondere ad essi che lo facciamo perché riconosciamo Cristo in loro e perché scopriamo l’immensa dignità concessa loro da Dio Padre che li ama infinitamente” (QA 63).

È in questa necessità a non dimenticare che non c’è vera scoperta della dignità dell’uomo al di fuori del rapporto con Cristo, e che il primo compito della Chiesa sta nel condurre a Lui ogni persona, che si fondano le considerazioni di papa Francesco relative al tema dell’inculturazione della fede, vista come la necessità di affermare e mettere in luce che Cristo, Verbo incarnato, è il vero significato di ogni creatura, poiché Egli “è il Signore che regna sul creato… e nell’Eucaristia assume gli elementi del mondo conferendo a ciascuno il senso del dono pasquale” (QA 74). 

Proprio in questa necessità di ritrovare e riproporre l’assoluta centralità di Cristo relativamente a tutta la realtà, trova la sua collocazione il tema dei Sacramenti e dell’Eucaristia, visti come il luogo in cui Dio “volle raggiungere la nostra intimità attraverso un frammento di materia” (QA 82). Papa Francesco riafferma qui con estrema chiarezza il legame tra sacerdozio ed Eucaristia, e lo fa approfondendo due aspetti: sia nel ricordare che “è importante determinare ciò che è più specifico del sacerdote… La risposta consiste nel sacramento dell’Ordine sacro, che lo configura a Cristo sacerdote. E la prima conclusione è che tale carattere esclusivo… abilita lui solo a presiedere l’Eucaristia. Questa è la sua funzione specifica, principale e non delegabile” (QA 87); sia nel riproporre quanto affermato da San Giovanni Paolo II, quando scriveva che “sebbene il sacerdozio sia considerato ‘gerarchico’, questa funzione non equivale a stare al di sopra degli altri, ma è totalmente ordinata alla santità delle membra di Cristo” (QA 87).

Ma nello stesso tempo il Pontefice ricorda che la ricchezza ministeriale della Chiesa fa sì che diversi siano gli apporti alla costruzione della comunità: quello dei ministeri laicali, delle donne, delle consacrate e dei consacrati, tutti chiamati a sviluppare una reale coscienza del cammino sinodale e creativo a cui siamo chiamati, evitando scelte inadeguate e di corto respiro: “Le autentiche soluzioni non si raggiungono mai annacquando l’audacia, sottraendosi alle esigenze concrete o cercando colpe esterne. Al contrario, la via d’uscita si trova per ‘traboccamento’, trascendendo la dialettica che limita la visione per poter riconoscere così un dono più grande che Dio sta offrendo. Da questo nuovo dono, accolto con coraggio e generosità, da questo dono inatteso che risveglia una nuova e maggiore creatività, scaturiranno, come da una fonte generosa, le risposte che la dialettica non ci lasciava vedere. Ai suoi inizi, la fede cristiana si è diffusa mirabilmente seguendo questa logica, che le ha permesso, a partire da una matrice ebraica, di incarnarsi nelle culture greca e romana e di assumere al suo passaggio differenti modalità. Analogamente, in questo momento storico, l’Amazzonia ci sfida a superare prospettive limitate, soluzioni pragmatiche che rimangono chiuse in aspetti parziali delle grandi questioni, al fine di cercare vie più ampie e coraggiose di inculturazione”.

Un invito a rialzare lo sguardo e a ritrovare – partendo dall’Amazzonia – tutta l’ampiezza dello sguardo della fede, che mostra quanto sia incredibilmente ricco, vivace e pieno di fiducia – perché guidato dallo Spirito – il cammino proposto alla Chiesa anche nel tempo presente. Con la certezza che non sono le soluzioni pragmatiche, limitate e parziali, che ci aiutano ad ascoltare la voce di Cristo, ma piuttosto un riaffidarsi totalizzante di ciascun credente e della Chiesa intera alla misericordiosa forza del Creatore, che non smette di proporre un cammino praticabile e colmo di speranza.

Di un simile respiro – e dell’audacia di riproporlo, con tenace e inguaribile ottimismo – abbiamo tutti, tutti bisogno.

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