Il nuovo Governo si presenta come un’alleanza per ora solo necessaria come risposta a una crisi politica che rischiava di portare l’Italia a un pieno isolamento in Europa. Fra le due principali forze che sostengono il governo (Pd e M5s) si è avviato però un percorso di avvicinamento che, partendo dall’alleanza per le imminenti elezioni di alcune Regioni, potrà poi svilupparsi in un’alleanza più organica anche a livello generale. Per questo è ancora più inspiegabile il silenzio che è calato sulle politiche per il lavoro.



Certo, in questi mesi, e poi in forma più pressante nel dibattito sulla proposta di finanziaria, sono emerse riflessioni e proposte che puntano a rilanciare gli investimenti e i consumi per rilanciare la domanda di beni e quindi l’occupazione. Ma dal ministero del Lavoro e dagli esperti, che hanno nel tempo elaborato molte proposte, vi è un silenzio assordante. Se apriamo la pagina del sito del Ministero compaiono un po’ di dichiarazioni del Ministro, che a commento dei dati sull’occupazione divulgati in settembre riprendono solo il calo della disoccupazione e ignorano la diminuzione del tasso di attività e il peggioramento della qualità del lavoro. Le iniziative nuove citate sono solo tre e riguardano la sigla del Testo unico per la rappresentanza, la proroga al 31/12 dei contratti di LSU e LPU della Calabria e l’ipotesi di accordo per i riders avanzata dalla maggioranza. Tutte iniziative lodevoli (un po’ meno il prosieguo di politiche del lavoro arcaiche come quelle estese in Calabria), ma che non incidono sulla situazione di chi cerca lavoro.



È evidente che soprattutto il Pd non riesce a far valere la necessità di mettere mano alle sciagurate scelte del Governo precedente che limitano le risorse disponibili per rilanciare le politiche del lavoro.

Due sono state le misure introdotte dal passato esecutivo (che richiedono un’iniziativa tesa a correggerle) che pesano economicamente e politicamente sulla situazione attuale. Ci riferiamo soprattutto a quota 100 e al reddito di cittadinanza. La misura pensionistica voluta dalla Lega appare oggi costosa, inutile e dannosa per il futuro. Inutile perché poco utilizzata rispetto alle attese politiche che la sostenevano, troppo costosa per l’equilibrio dei conti Inps nei prossimi anni e dannosa perché acuisce il costo del sistema pensionistico danneggiando i giovani che entrano ora nel mercato del lavoro. Metterci mano e utilizzare le risorse liberate per riequilibrare il welfare per i più giovani e per restituire risorse alla manovra economica per diminuire la tassazione del lavoro sarebbe la scelta giusta per una politica per i lavoratori.



Vi è poi il reddito di cittadinanza che merita una revisione proprio per renderlo efficace rispetto agli obiettivi per cui è stato introdotto. Prima ancora di mettere mano a come utilizzare risparmi e avanzi rispetto a quanto stanziato, va ricondotta a chiarezza la politica di sostegno che si intende perseguire. Se si vuole realmente fare del reddito di cittadinanza uno strumento utile vanno ridefiniti i percorsi fra chi ha necessità di un sostegno per la ricollocazione lavorativa e politiche di sostegno al reddito per le fasce di povertà. Non sono la stessa cosa e richiedono servizi diversi.

In particolare, va rimesso in moto il percorso delle politiche attive del lavoro come modello generale che deve prendere in carico tutti coloro che per ragioni diverse, crisi aziendale o altro, sono in cerca di una nuova occasione lavorativa e che godono di sostegno al reddito con la Naspi o con il reddito di cittadinanza. Diverso sarà il percorso di coloro che sono in stato di povertà, ma che, per problematiche legate anche ad aspetti sociosanitari, richiedono una collaborazione fra interventi sociali e solo dopo possibili percorsi di reinserimento anche nel mercato del lavoro. A tutto ciò è possibile lavorare da subito mettendo da parte posizioni ideologiche e tenendo però ben ferma la decisone di voler proporre per tutti un sistema di politiche attive per il lavoro superando i modelli di politiche passive che hanno caratterizzato altri periodi.

Vi sono poi misure che possono avere un grande impatto anche con limitati budget di spesa. Un forte impegno per lo sviluppo degli ITS potrebbe partire da una semplificazione della governance promuovendo l’accesso a fondi privati e non solo pubblici. Facilitare la creazione di percorsi duali di alto livello fra sistemi di imprese e formatori può facilitare politiche che aumentino gli investimenti in capitale umano contribuendo a chiudere il mismatching esistente fra percorsi di formazione ed esigenze delle imprese.

Infine, segnalo anche la ripresa di politiche fiscali e normative che favoriscano la diffusione del welfare aziendale e territoriale basato su accordi aziendali. È un modo concreto di dare più servizi e qualità al lavoro. Un riconoscimento che sarebbe una buona risposta alla perdita di qualità indotta dalle riorganizzazioni produttive e organizzative in corso.