La Commissione europea ieri ha inviato le proprie raccomandazioni ai Paesi membri. All’Italia la Commissione ha raccomandato di “limitare la crescita della spesa netta nel 2025” a un tasso coerente con la riduzione del deficit nel medio termine al 3% del Pil. E raccomanda all’Italia di “rendere il sistema fiscale più favorevole alla crescita, con un focus sulla riduzione del cuneo fiscale sul lavoro”, di “ridurre la spesa fiscale e aggiornare i valori catastali” continuando ad “assicurare l’equità e la progressività” e “a sostenere la transizione green”.
L’Italia ha chiuso il 2023 con il secondo debito pubblico più alto d’Europa in percentuale del Pil (137,3%) e con il deficit più alto d’Europa (7,4%); nel 2024 l’Italia continuerà ad avere un deficit superiore alla media europea (4,4%) rispetto a una media del 3%, e, tra i grandi Paesi, inferiore solo a quello della Francia. A prescindere dalle considerazioni della Commissione europea, in una fase di tassi strutturalmente più alti questi numeri sono una sfida. La competizione dei Governi per assicurarsi i risparmi delle famiglie per l’emissione di titoli pubblici è alta; gli stati Uniti nel 2024 avranno un deficit superiore all’8% e superiore al 7% sia nel 2025 che nel 2026.
In questo scenario aprire una fase conflittuale con la Commissione è complicato. I mercati finanziari europei sono già in trepidazione e prezzano il rischio che la Francia a “trazione Le Pen” possa aprire un confronto con l’Europa sui target di riduzione del deficit e non solo. La possibilità di una riedizione della crisi dei debiti sovrani non è nulla. Non è chiaro quanto possa ottenere l’Italia dall'”Europa”, con le buone o con le cattive, in questo scenario. La solidità dei conti pubblici è comunque un valore a prescindere da quello che si dice e da come si dice a Bruxelles.
La riduzione della spesa che si chiede all’Italia e le riforme del sistema fiscale con la revisione del catasto avvengono in una fase diversa da quella del 2011 quando la crisi dei debiti sovrani raggiungeva il picco. L’economia italiana nel 2012 poteva contare sulle esportazioni, per bilanciare la riduzione della domanda interna, in uno scenario di globalizzazione, bassi prezzi delle materie prime e prezzi dell’elettricità stabili grazie alle forniture a lungo termine e a prezzo scontato di gas russo. Oggi si moltiplicano i segnali di guerre commerciali, che non fanno bene alle esportazioni, e l’elettricità costa più del 50% in più alle imprese italiane. Questa è una prima sfida per i conti pubblici perché l’Italia negli ultimi anni ha dovuto, per esempio, mettere mano al portafoglio per aiutare le famiglie e le imprese colpite dai rincari energetici.
La spesa per la difesa deve salire perché la guerra in Ucraina non accenna a finire e l’Italia, in buona compagnia, ha già svuotato i magazzini per inviare materiale a Kiev. La Commissione, poi, che raccomanda a Roma di ridurre le spese, invita il nostro Paese a continuare a investire nella transizione verde. Gli incentivi alle rinnovabili dal 2011 al 2022 sono costati all’Italia 130 miliardi di euro; il conto non include gli investimenti che si sono resi necessari sulla rete. Gli incentivi sono scesi a 6,4 miliardi nel 2022 dai 10,4 miliardi del 2021 solo perché sono saliti i prezzi dell’elettricità.
L’Italia deve abbassare il deficit in un quadro internazionale decisamente peggiore di quello del 2011, mentre le viene chiesto di investire di più in spesa militare e di almeno mantenere, se non accelerare, la spesa per la transizione “green”. Il risultato è che qualsiasi riduzione di spesa diventa più dolorosa perché i margini di manovra sono minori.
La solidità dei conti pubblici è un valore a prescindere e in particolare in questa fase storica. La questione che dovrebbe porsi l’Italia è se si può permettere l’incremento della spesa in difesa e la transizione energetica. Gli Stati Uniti di Biden, per esempio, hanno deciso che non si possono permettere la transizione perché le priorità sono la spesa sociale e la reindustrializzazione del Paese. Altri Paesi europei hanno deciso che non si possono permettere incrementi vertiginosi della spesa militare.
In questo scenario internazionale e dentro i vincoli della transizione e della spesa militare, anche la creatività italiana può poco e l’unica cosa che rimane sono tagli e tasse dolorosi.
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