Ieri la Commissione europea ha presentato il “Pacchetto di primavera”, contenente le raccomandazioni specifiche per ogni singolo Paese. Il vicepresidente Dombrovskis, nel corso della conferenza stampa, ha evidenziato la necessità che gli Stati mettano fine ai sostegni contro il caro energia, così da contribuire a fermare l’inflazione, rafforzino la loro posizione fiscale, tramite scelte prudenti sui conti pubblici, e alimentino gli investimenti pubblici, legati in particolare al Recovery Fund.
Da qui un nuovo richiamo all’Italia a “garantire una governance efficace e rafforzare la capacità amministrativa, in particolare a livello subnazionale, per consentire un’attuazione continua, rapida e costante del Piano per la ripresa e la resilienza”. Al nostro Paese è stato anche chiesto di ridurre le imposte sul lavoro e rendere più efficiente il sistema tributario. Bruxelles sembra inoltre ritenere che l’ipotesi di estendere la flat tax aumenti la complessità e riduca l’equità fiscale.
Gli occhi della Commissione restano, tuttavia, principalmente puntati sul debito publico, ritenuto la maggior fonte di vulnerabilità dell’economia italiana. Abbiamo chiesto un commento a Massimo D’Antoni, docente di scienza delle finanze all’Università di Siena.
La Commissione ha presentato della Raccomandazioni che guardano già al 2024, chiedendo prudenza e una posizione fiscale solida ai Paesi membri. Si dà di fatto per acquisita una riforma del Patto di stabilità che, come segnalava in una precedente intervista, chiederà all’Italia di “conseguire elevati avanzi primari riducendo la spesa o aumentando le imposte”?
È così, come annunciato, le indicazioni della Commissione, pur formulate entro il quadro delle vecchie regole tuttora vigenti, terranno conto del nuovo quadro di vincoli, che si focalizza sulla crescita della spesa pubblica netta invece che sul saldo strutturale. Fermo restando il vincolo del 3% sul deficit, che resta in vigore. Gli avanzi sono una conseguenza del fatto che le nuove regole ci impongono, a parità di entrate fiscali, una riduzione della spesa pubblica rispetto al Pil.
Non è una forzatura usare questo parametro quando ancora la riforma del Patto di stabilità e crescita è in discussione?
Dobbiamo ricordare che ancora per quest’anno le regole sono sospese per effetto della clausola di salvaguardia generale invocata nella primavera del 2020. Tanto è vero che, nonostante diversi Paesi tra i quali il nostro abbiano livelli di deficit superiori al 3%, non verrà proposta per quest’anno l’attivazione della procedura per deficit eccessivo. In questo contesto, un anticipo nella forma di un riferimento alla spesa netta non mi pare un problema.
È un buon parametro la spesa netta?
Ricordo intanto che per spesa netta si intende la spesa pubblica esclusa la componente degli interessi sul debito, le spese legate al ciclo economico come i sussidi di disoccupazione e le spese finanziate con trasferimenti dall’Unione Europea. Attenzione: quelle finanziate con trasferimenti, non quelle finanziate con prestiti. Si intende che resta sempre possibile aumentare la spesa pubblica aumentando le imposte… Il riferimento alla spesa è considerato preferibile perché non ha effetti prociclici, cioè non diventa più stringente nelle fasi recessive, cosa che invece si verifica imponendo un obiettivo in termini di saldo di bilancio, anche quando questo è calcolato al netto degli effetti ciclici. Inoltre, la spesa netta è considerata un aggregato meglio controllabile da parte dei Governi. Naturalmente non basta un cambio di parametro a eliminare il problema posto dalla fissazioni di obiettivi di riduzione del debito molto stringenti, che possono compromettere la possibilità di realizzare obiettivi essenziali di politica economica.
Riguardo l’Italia, il giudizio complessivo che emerge nel rapporto della Commissione sembra migliore rispetto al passato.
Condivido questa impressione. Si riconosce il fatto che l’Italia ha avviato azioni tese ad affrontare alcune delle sue difficoltà strutturali. Anche rispetto all’andamento delle variabili di finanza pubblica e all’elevato deficit degli ultimi anni si afferma che le ragioni sono esterne: la pandemia prima e gli effetti della guerra e delle sanzioni successivamente. Nonostante questi riconoscimenti, si sottolinea tuttavia come il nostro Paese sia uno di quelli con “excessive imbalances”, quindi entriamo nel nuovo insieme di regole come sorvegliati speciali.
I riflettori restano puntati sul debito come maggior fonte di vulnerabilità. La soluzione di Bruxelles sembra però passare ancora una volta da una stretta sui conti, certamente più difficile in un periodo di tassi in rialzo, anche per l’effetto che hanno sugli investimenti…
Da quel punto di vista l’atteggiamento non cambia. Del resto, l’insieme delle regole ha come preoccupazione centrale il debito e prevede che la risposta a un debito elevato sia il contenimento della spesa pubblica. C’è, forse più che in passato, il riconoscimento che tale contenimento non deve andare a detrimento della crescita e per questa ragione si ribadisce la necessità di sostenere gli investimenti, ma la conclusione sulla necessità di ridurre il livello di spesa segue in modo inevitabile dalle premesse.
Si danno anche indicazioni specifiche su come evitare questo esito?
Le raccomandazioni finali non dicono dove il Governo dovrebbe intervenire, si limitano a indicare un tetto di crescita di spesa dell’1,3% nel 2024. Attenzione però: parliamo di spesa nominale. Considerando l’aumento previsto dei prezzi, questo numero implica una riduzione della spesa in termini reali grosso modo della stessa entità. Considerato che nello stesso tempo chiede il sostegno degli investimenti, chi dovrà pagare il conto? La sanità, l’istruzione, il pubblico impiego, le pensioni? Non sarà facile rispettare l’obiettivo. Soprattutto, non sarà facile ridurre la spesa e nello stesso tempo rispondere ad altre raccomandazioni, come quella di rafforzare la capacità amministrativa a tutti i livelli, in particolare negli enti territoriali, per garantire l’attuazione del Pnrr. Un obiettivo che richiederebbe assunzioni di personale qualificato.
Bruxelles rivolge delle raccomandazioni all’Italia anche sul fronte fiscale. Come si intersecano con il ddl delega e il progetto di riforma fiscale? Il Governo dovrà rivedere qualcosa?
La struttura dei sistemi fiscali è competenza degli Stati, ma si capisce che alla Commissione alcune soluzioni annunciate preoccupano. Parlando della flat tax si sottolinea come essa non debba compromettere la progressività del sistema. D’altra parte, ribadendo una posizione consolidata negli anni, si indicano la riduzione delle “spese fiscali”, cioè l’ampio numero di agevolazioni e detrazioni, nonché un aumento della tassazione sugli immobili, attraverso una revisione degli estimi catastali, come possibili strade per ridurre il peso fiscale sul lavoro. Non credo che quest’ultima indicazione troverà molto ascolto in questo Governo.
(Lorenzo Torrisi)
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