Caro direttore,
è da poco più di un anno che entro in carcere a Bollate, come volontaria, ma per l’intensità del vissuto sembra che siano passati decenni. Capita nell’esperienza di un grande amore, di una grande gioia.
Ho iniziato l’anno scorso con la mia prima Colletta alimentare in galera. Non conoscevo nessuno, tanto meno la vita di questi amici, ma ora!…. sì inizio così… dalla parola amicizia, perché di questo si tratta. Faccio parte dell’Associazione “Incontro e Presenza” che si è data come “mission” quella di incontrare le persone all’interno delle patrie galere, milanesi in particolare, per essere una presenza. Da qui il nome.
Non facciamo nulla, non ci proponiamo di risolvere problemi, offriamo “solo” un’amicizia che si manifesta per lo più in incontri periodici con chi chiede un po’ di normalità dentro una realtà che nulla ha di normale (tutto, in carcere, è sconvolto della nostra normalità, per assumerne un’altra, si parla addirittura un altro linguaggio, le cose sono chiamate con un altro nome, anche tu diventi un cognome e non più un nome), ma anche nelle svariate opportunità che la realtà offre e una di queste è di partecipare alla proposta della Colletta alimentare. Un gesto di gratuità che normalmente si fa nei supermercati come volontari e/o come donatori. La genialità e la sfida del Banco Alimentare, da diversi anni, è di proporla ai detenuti milanesi, e, per quel che ci riguarda, della Casa di Reclusione di Bollate.
Alcuni detenuti hanno “sacrificato” una giornata di permesso con i familiari per partecipare alla classica “militanza” fuori dai supermercati, mettendo la propria faccia nell’invitare perfetti sconosciuti a donare cibo, altri lo hanno fatto dal di dentro con i propri compagni di reparto. Il risultato sono stati più di 1.300 kg raccolti all’interno, dai circa 1.550 detenuti (e detenute) di Bollate. I numeri, ce lo diciamo sempre, sono solo una faccia, importante sì, ma solo per sottolineare altro, l’essenziale, la punta dell’iceberg di ciò che veramente conta: il sorprendersi cambiati, un cambiamento di sé, da un gesto semplice come il dare. È il motto del Banco che campeggia in tutti i volantini di invito: “Condividere i bisogni per condividere il senso della vita”. In un luogo come quello del carcere, sentire le persone parlare di speranza, di realizzazione di sé nel sentirsi utili, nel dare, forse per la prima volta, dopo aver sempre preso, preso cose, se non addirittura vite, fa accapponare la pelle.
Sabato scorso a una settimana dalla Colletta, queste sono le testimonianze raccontate a un incontro, dai reduci di questo gesto: “…ho sempre preso dagli altri… ho scoperto, con la Colletta, che è molto più bello dare e con questo gesto mi sembra di poter ricominciare, di rimediare, restituire…”. E ancora: “Ho scoperto che alcune cose non posso più rimediarle né restituirle, ma posso cambiare io…”.
Altri hanno scritto, come Alberto:
“Quello che è stato molto sentito, è il desiderio di dimostrare che i detenuti, spesso guardati con sospetto, se non con spregio nella società civile, pur con tutti i loro sbagli, sono parte di questa e sono pronti ad aiutare gli altri con entusiasmo… vi è stato chi ha rinunciato a buona parte della dose settimanale di sigarette per poter acquistare pacchi di pasta da donare, chi ai pacchetti di biscotti portati loro dalle famiglie, ma ancora più importante è stato il gesto spontaneo di coloro che non potendo acquistare nulla, e non avendo forniture esterne, per la lontananza o l’indigenza delle famiglie, hanno donato una scatoletta di tonno, del latte o tortine, cibo normalmente fornito dall’amministrazione con il carrello del pasto”.
E Daniela, dal reparto femminile, anche lei, come Alberto, volontaria nell’organizzazione della raccolta, non è da meno:
“… quel giorno ho visto e toccato con mano il grande messaggio d’amore dato dalle detenute verso la carità. Quasi tutte hanno partecipato. Mi hanno colpito tanto le donne straniere che sono state quelle che hanno donato, non solo in quantità, ma anche in qualità. Ho trovato delle celle che avevano già messo da parte il cibo, pronto per essere donato il giorno prestabilito. Beh! Quest’anno sono rimasta basita, ma nel bene! 5 borse piene di ogni genere di cose, dal tonno ai dolci, dalla pasta al latte. Dentro di me sentivo di essermi spesa, mi sentivo importante come mai niente mi ha fatto stare così. Penso che quello che ho provato ha sicuramente valorizzato me stessa, un valore palpabile, autentico. Mi ha fatto credere che nel mondo ci sono ancora persone che pensano ad altre persone. Quel piccolo gesto, che può fare la differenza, è ancora nel cuore dell’uomo, dopo il tanto, troppo egoismo che continuo a vedere nella vita quotidiana…”.
A sentire questi racconti, viene in mente quello evangelico della vecchia vedova al tempio di Gerusalemme: anche lei, nella sua povertà, aveva messo nel tesoro tutto quello che aveva.
Insomma, un fiume in piena di persone, reiette per il mondo, che scoprono se stesse, la meraviglia (perché questo è ciò che brilla nei loro occhi) di scoprire di essere fatti bene, per il bene, che dare se stessi per il bene fa bene innanzitutto a se stessi, una scoperta magari fatta dopo anni di connivenza con il male, un male da cui non sono però definiti.
È la scoperta che vorremmo fare tutti noi, o no? Nell’inferno di tutti i nostri giorni, poter abbracciare ciò che inferno non è.
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