Raf ospite de L’anno che verrà su Rai1, intanto confessa “Sono migliorato, Da ragazzino invece ero un disastro”

Raf torna dal vivo sul palcoscenico de L’anno che verrà, lo spettacolo di Capodanno presentato da Amadeus in prima serata su Rai1. Il cantautore di “Self control” oggi è cambiato, anzi “migliorato” come ha raccontato in una intervista rilasciata al Corriere della Sera. “Sono migliorato, eh. Da ragazzino invece ero un disastro. Mi vergognavo, con guance e orecchie paonazze, non riuscivo a parlare, farfugliavo, dicevo sempre la cosa sbagliata. Non mi aiutava avere un padre molto severo, però a quei tempi lo erano tutti. Bastava un niente e volava lo scappellotto. A casa, a me e mio fratello, ci faceva filare. Non voleva che giocassi a pallone, se per caso mi beccava in strada in piena partitella erano guai” – ha confessato l’artista che sin da ragazzino nutriva una passione per la musica.



Il primo grande amore sono stati i Beatles ascoltati per la prima volta all’età di 9 anni: “vidi un loro film sulla Rai, c’erano sì e no due canali. Decisi che volevo diventare come loro”. Qualche anno dopo ha cominciato a studiare pianoforte e chitarra per poi fondare, a soli 13 anni, la prima band rock progressivo: “suonavamo rock progressivo, i Jethro Tull, I King Crimson, ma anche il liscio a matrimoni e cene danzanti. Portavo i capelli lunghi e mi scambiavano per una ragazzina”.



Raf e il successo: dalla Puglia a Firenze

Raf a soli 17 anni ha lasciato la sua terra natale, la Puglia, per trasferirsi a Firenze per amore. Una scelta che non era condivisa dai genitori come ha raccontato dalle pagine del Corriere della Sera: “i miei non erano per niente d’accordo con la mia scelta. Mia madre mi mandava qualche soldo di nascosto. Con il tempo sono arrivati pure i barattoli. Il fatto è che gli arrivavano le voci più assurde, si erano convinti che fossi un matto debosciato dedito all’alcol e alle droghe, capirai, al massimo qualche canna. La prima volta che mi hanno visto in tv, presentato come una star internazionale, sono rimasti esterrefatti: mamma piangeva, papà restò impietrito”. Da Firenze a Londra dove ha cominciato a suonare e si manteneva lavorando come cameriere: “ero fermo a «the cat is on the table» e delle ordinazioni non capivo niente. Perciò mi confinarono in cucina, caricavo e scaricavo la lavapiatti. Poi, diventato più bravino, ho fatto il commesso in un negozio di abbigliamento”.



Il primo grande successo arriva con Self control, brano scritto in inglese, con cui ha scalato le classifiche europee:  chiesi al mio amico Steve Piccolo di rileggere il testo, onde evitare strafalcioni. Cambiò giusto due cosine e firmò la canzone con me e Giancarlo Bigazzi. Quando compongo un pezzo, anche oggi che canto in italiano, lo butto giù in un inglese maccheronico, giusto per catturare il suono”. Il successo però all’inizio è stato per lui un momento di grande solitudine: “ero scontroso, scorbutico, perché mi sentivo fuori posto. E mi ritrovai più solo. Quando hai successo, sono gli altri che spesso ti vedono diverso. “Ora che è famoso non è più uno di noi”, pensano. E tu non sai mai se la gentilezza di una persona nei tuoi confronti è reale o falsa”.