Si parla delle trattative, della speranza di un accordo che decida per una tregua. Ma non si può dimenticare che la gente di Gaza, ormai quasi tutta concentrata nella zona di Rafah, sta cercando di sopravvivere in un inferno senza cibo, medicine, case, ospedali. I raid israeliani avrebbero reso inutilizzabili 36 strutture sanitarie. Qualche aiuto umanitario in più rispetto a prima è entrato, racconta padre Ibrahim Faltas, vicario della Custodia di Terra Santa, ma non basta per sfamare un milione e mezzo di persone. Padre Faltas è tra gli organizzatori di viaggi della speranza per portare bambini bisognosi di cure in Italia: alcuni hanno già raggiunto il nostro Paese, ma ora è impossibile farne uscire altri, compresi tre di loro affetti da una malattia rara. Resta solo la speranza che Hamas e Israele, riuniti al Cairo per definire un’intesa che faccia cessare il fuoco, riescano finalmente a mettersi d’accordo. Stavolta le pressioni degli americani perché questo succeda sarebbero più forti del solito.



Com’è la situazione a Gaza in questo momento? Qualche aiuto in più è arrivato, ma è sufficiente per sostenere la gente della Striscia?

A Gaza si sta ancora malissimo, la situazione è orribile. Tutta la gente è ammassata a Rafah e l’esercito israeliano controlla il valico. Dicono che nelle ultime ore, comunque, sono entrati tanti aiuti. Si vede che gli americani hanno premuto su Israele perché aprisse i passaggi. Certo, gli aiuti non sono ancora abbastanza: stiamo parlando di un milione e mezzo di persone che non ha niente. È vero che entrano viveri e altri materiali, ma anche con questi non si può fare più di tanto. Di sicuro non si possono sfamare tutti. Basta guardare le immagini che manda in onda Al Jazeera. La gente deve fare file interminabili per avere qualcosa. Non dimentichiamo che qualche volta sono stati uccisi solo perché volevano prendere in consegna gli aiuti.



Ma le persone sfollate a Rafah dove vivono?

Nelle tende. Dicono che devono tornare alle loro abitazioni, ma le loro case sono state tutte distrutte. A Gaza non ci sono case, né ospedali, né scuole: è stato distrutto tutto.

Le persone che vivono lì come raccontano la loro situazione?

Non si può raccontare, descrivere la situazione in cui vivono; non fanno altro che piangere. Non riescono ad avere neanche le cure mediche: sono state messe fuori uso 36 strutture ospedaliere.

L’Onu rilancia periodicamente l’allarme carestia per chi è nella Striscia. 

A pagare per primi sono i bambini, tanti piccoli sono morti per mancanza di medicine, di cibo, per il freddo e le condizioni atmosferiche. Le persone muoiono in tutti i modi, anche in mare. Gli americani quando portano gli aiuti li lanciano dal cielo e a volte la gente che cerca di andare a recuperarli muore annegata.



Siete riusciti a portare altri bambini bisognosi di cure in Italia?

Stiamo lavorando per fare uscire molti che stanno malissimo. Ci stiamo occupando, ad esempio, di tre bambini affetti da una malattia rara che rende la loro pelle fragile come le ali delle farfalle. Adesso, però, è molto difficile fare uscire qualcuno dalla Striscia di Gaza.

Questa gente sfollata, affamata e senza un tetto cosa dice della guerra, di Hamas, di Israele?

Ce l’hanno con tutti, se la prendono con entrambe le parti. Non hanno fatto niente di male, ma stanno pagando le colpe di Hamas e di Israele.

Le persone che si erano rifugiate nella chiesa greco-latina di Gaza come stanno?

Sono diminuite: qualcuno è morto, qualcuno se ne è andato, altri vagano per le strade. I cristiani che vivono a Gaza non raggiungono le 600 persone.

C’è ancora la speranza che le trattative possano portare a far tacere le armi?

In molti hanno lavorato per questo. L’altro giorno eravamo contenti all’annuncio che Hamas aveva accettato l’accordo. Poi, tuttavia, Israele ha rifiutato. Quindi tutte le delegazioni sono andate al Cairo: Qatar, Stati Uniti, Israele e naturalmente lo stesso Egitto. Speriamo. Devono fare la tregua. So molto bene che l’America questa volta sta esercitando forti pressioni.

Non basta la consapevolezza che un’azione militare dell’IDF a Rafah sarebbe un disastro?

Certo che sarà un disastro. Se entrano i soldati, lì ci sono un milione e mezzo di persone. L’unico posto in cui potrebbero andare sarebbe l’Egitto. Ma l’Egitto non accetterà mai di accoglierle. E poi perché devono essere spostate? È la loro terra, vogliono rimanere nella loro terra. Nella loro vita sono state spostate già tante volte dal 1948 in poi. La maggior parte di loro sono profughi.

(Paolo Rossetti)

 

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