Il controtenore è un cantante con una voce magica: è un uomo spesso in grado di cantare ruoli di baritono, data l’agilità dei suoi vocalizzi, la cui voce ha un’estensione che raggiunge registri da contralto e da soprano. I controtenori entusiasmavano il pubblico in età barocca e, per questa ragione, si ricorreva alla terribile prassi della castrazione di giovani prima che cambiassero voce. Sparirono completamente dai repertori e dalla scene durante il romanticismo ed il verismo. Solo negli Anni Sessanta del secolo scorso, l’opera barocca cominciò a riapparire e per diversi anni ruoli concepiti e scritti per controtenori vennero abbassati di un paio di ottave ed affidati a baritoni; ricordo, ad esempio, nel 1973 un’ottima produzione (nata originariamente alla Long Beach Opera nella California del Sud) in cui il ruolo di Nerone (scritto per un controtenore) era affidato al giovanissimo Alan Titus (il protagonista della Messa di Bernstein che inaugurò il Kennedy Center of Performing Arts), il quale interpretava le scene erotiche coperto solo di un cache sex. A volte i ruoli di controtenori venivano affidati a mezzo soprani od a contralti.



I controtenori non sono mai spariti del tutto in Gran Bretagna, soprattutto a ragione della musica di chiesa. In Italia sono riapparsi recentemente in parallelo con il ritorno in auge della musica barocca. Il trentaseienne Raffaele Pé è, senza dubbio, il più noto di tutti, anche a livello internazionale. Lo abbiamo recensito su questa testata nelle sue interpretazioni de L’empio punito di Melani e di Rinaldo di Händel. Nei prossimi mesi affianca impegni operistici (Belshazzar di Händel a Goettingen, Farnance di Vivaldi a Piacenza, Tamerlano di Händel a Londra, Giustino di Vivaldi a Stoccolma) con un vasto tour di concerti in cui è accompagnato da La lira di Orfeo, un complesso internazionale con base a Lodi (dove Pé è nato e vive) che suona con strumenti d’epoca (Anais Chen, violino; Doron Sherwin, cornetto; André Lislevand, viola da gamba, Guisella Massa, violone, Chiara Granata, arpa; Simone Vallerotonda, tiorba e chitarra spagnola, Davide Pozzi, cembalo). Il tour prevede numerosi programmi: quello proposto a Roma il 23 febbraio nella stagione cameristica dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia è imperniato su Monteverdi (il titolo è #solomontevedi) è verrà replicato unicamente a Londra il 20 giugno ed a Cremona il 26 giugno.



La Sala Sinopoli dell’Auditorium del Parco della Musica era abbastanza piena, tenendo conto della situazione di questi mesi in cui il pubblico, temendo il Covid, non affolla le sale di concerto. Un chiaro segno che il barocco e Raffaele Pé in particolare attirano ascoltatori dal vivo (così come vendono bene i loro CD).

I brani vocali (con accompagnamento dell’ensemble) erano intramezzati da due brani strumentali di Dario Castello e da uno di Giovanni Battista Riccio.

Il concerto è iniziato con Si dolce è il tormento, uno “scherzo” tratto dalle Ariose Vaghezze in cui Pé ha dato una vera prova di agilità. Terso, dolente e drammatico Eppur io torno, il rientro a casa di Ottone che viene, ne L’incoronazione di Poppea, bastonato dai servi di Nerone intento a copulare con la di lui consorte. Si conclude la prima parte con due brani di musica sacra (la voce di Pé è stata notata quando, giovanissimo, cantava al Duomo di Lodi). La seconda parte inizia con tre dolcissimi brani da L’OrfeoRosa del Ciel, Dal mio Permesso amato, Vi ricorda o boschi ombrosi. In questi brani, gli elementi per così dire arcadici vengono mirabilmente fusi con la gioia di Orfeo di aver ritrovato la “sua” Euridice e continua con la ninna-nanna che la nutrice canta a Poppea per concludere con Voglia di vita uscire, una rara aria di suicidio trovata nell’Archivio Filippini a Napoli.



Applausi e ovazioni a cui Pé e La lira di Orfeo hanno riposto con due bis, uno sacro (di lodi al Signore) ed uno profano.