Raffaele Sollecito venne arrestato a soli 23 anni nel 2007 con l’accusa di aver ucciso a Perugia Meredith Kercher. In seguito venne scarcerato, così come la sua ragazza dell’epoca, Amanda Knox, tornata in questi giorni in Italia per il processo per calunnia. Sollecito ha passato quattro anni in carcere per quella vicenda prima di un’assoluzione definitiva per non aver commesso il fatto, e in questi giorni ha ricordato quegli eventi, intervistato dai microfoni di Sette. «Ho dovuto ricostruire da zero lavoro e immagine, non volevo che quelle cause fossero la mia vita. Io non sono quello». Per poi fare un esempio: «Tempo fa ero a Corso Como con degli amici, vedo una ragazza carina, le dico ciao. Lei mi riconosce, e scoppia a piangere».
Raffaele Sollecito ha quindi raccontato della sua infanzia, della separazione dei suoi e di come quei momenti siano in qualche modo entrati nel processo per l’omicidio di Meredith Kercher, in quanto il magistrato aveva mandato un poliziotto a Giovinazzo, dove era cresciuto, per ricostruire la sua psicologia e trovare elementi di fragilità nel passato. La mamma di Raffaele Sollecito è morta di infarto, e di lei ha un ricordo particolare: «Mi attaccavo ai suoi capelli, se mi chiede quale fosse il mio desiderio: stare dentro i capelli di mia madre. Tra noi c’era una specie di comunicazione attraverso i capelli. Lei mi pettinava. Mi ha pettinato fino ai tredici anni». Con il decesso della madre finisce «La mia vita felice», aggiunge ancora Raffaele Sollecito.
RAFFAELE SOLLECITO E IL RACCONTO SU COSA ACCADDE NEL 2007…
Ma il peggio arriverà a novembre 2007, quando verrà appunto scoperto il cadavere di Meredith: «Succede tutto velocemente. La scoperta del cadavere di Meredith, Amanda che venie convocata in questura come persona informata sui fatti, io che mi presento spontaneamente». Raffaele Sollecito racconta quindi la rabbia per le ricostruzioni fantasiose fatte sull’omicidio della giovane ragazza, arrivando fino alla condanna dei due: «I primi sei mesi sono stato in isolamento per essere protetto dagli altri carcerati», ricorda il ragazzo, per poi essere spostato in un carcere di massima sicurezza in quanto non reggeva l’isolamento.
«Una specie di deprivazione sensoriale: non distinguevo gli oggetti. Non riconoscevo se ero vestito o nudo. Mi propongono psicofarmaci che io rifiuto. Temo che la mia mente possa essere compromessa, voglio rimanere lucido per studiare». A farlo sopravvivere furono i ricordi dell’infanzia, quando lo stesso Sollecito si chiudeva in se stesso giocando con i videogiochi: «Immaginavo di uscire con gli amici, cosa avrei detto in merito a quello che stava succedendo, commenti loro, consigli. Ho immaginato partite a Final Fantasy VII Special, un nuovo episodio mai esistito di Final Fantasy». Nel contempo Sollecito ha continuato a scrivere ad Amanda Knox, ma lei gli rispondeva che non provava più niente per lui: «L’idea che ci fosse qualcuno che mi amasse… Ne avevo bisogno», ma non smise mai di pensare alla stessa: «Impossibile, la televisione parlava di lei, di noi. Col tempo, piano piano, ho cercato di farmi bastare la famiglia e alcuni detenuti».
RAFFAELE SOLLECITO: “IN CARCERE LA SOFFERENZA OGNI NOTTE…”
Ha quindi ricordato i clan in carcere, che per farne parte dovevi essere costretto a difendere il capo a esporti a rischi, ma «io non volevo guai, così ho fatto amicizia coi veri esclusi, quelli che nessuno considera e che non entrano in conflitto con nessuno», riferendosi ai pedofili. «Ho giocato a biliardo, ascoltato le loro storie. Ho passato molto tempo con uno psichiatra accusato ingiustamente dalla moglie di aver molestato la figlia piccola». In carcere, ricorda ancora, c’erano detenuti che piangevano, altri che si ferivano, che si mutilavano, ogni notte sentiva le grida di dolore: «La sofferenza in carcere rende uguali». Dopo quattro lunghi anni arrivò finalmente l’assoluzione che però non restituì il sorriso a Raffaele Sollecito: «Incontro Amanda in ascensore, lei felice, come lo erano gli avvocati. L’unico depresso ero io» per l’idea di affrontare il mondo fuori, avendo paura di far vedere di essere diverso da quello che raccontavano.
Ed in effetti Raffaele Sollecito ha incontrato molte difficoltà, anche sul lavoro: «Uscito dal carcere per molti anni le aziende mi assumevano e subito, venute a conoscenza del mio passato, mi mandavano via». Infine sui progetti futuri: «Riprendere un’app di mia invenzione. Per chi la userebbe per prima? Per mia madre. Come prima cosa le farei cambiare la foto sulla lapide, troppo imbronciata».