La notizia dell’improvvisa scomparsa di Raffaella Carrà ci colpisce come se si trattasse di una persona cara della nostra famiglia. Era entrata nella nostra casa qualche anno dopo l’ingresso della tv, che allora era un cassone troneggiante in un angolo della sala da pranzo e trasmetteva in bianco e nero. Alle nove, dopo Carosello, cominciava la serata con gli sceneggiati, i quiz come Lascia Raddoppia, il Musichiere e naturalmente lo spettacolo musicale del sabato sera. 



Raffaella debuttò nel 1961 con Tempo di danza insieme a Lelio Luttazzi, poi partecipò nel 1969 al musical Scaramouche. In Canzonissima dimostrò a tutto tondo le sue doti di show girl, cantante, ballerina, intrattenitrice. 

Come le sorelle Kessler avevano sdoganato le gambe, lei sdoganò l’ombelico. Sexy quanto basta ma mai sguaiata o sopra le righe, resta assolutamente memorabile il ballo del Tuca Tuca con Alberto Sordi, che seppe interpretare con arguzia i sentimenti di quanti a casa sperimentavano un inconfessabile “vorrei ma non posso”. 



Sapeva passare da una sensuale e scatenata hit come Rumore, al personaggio di Maga Maghella, alla confidente di Pronto Raffaella, a Carramba che sorpresa che anticipò di molti anni C’è posta per te. 

Partecipò a Canzonissima, condusse il Festival di Sanremo, tenendo testa con spirito, eleganza e padronanza di ogni argomento a mostri sacri della tv come Alighiero Noschese, Mina, Pippo Baudo, Corrado, Mike Bongiorno, Alberto Sordi, ma anche a Frank Sinatra e a David Letterman. 

Ebbe l’intelligenza di andare a lavorare in Spagna e poi in Sudamerica, dove c’è una fortissima presenza di emigrati italiani, che conquistò immediatamente. Alcune delle sue canzoni, anche grazie a ri-arrangiamenti moderni, si ascoltano ancora oggi nelle discoteche: in complesso ha venduto sessanta milioni di dischi, ottenendo undici dischi di platino, e non tutti lo sanno. 



Fu soprannominata “la fidanzata degli italiani“, perché impersonava il sogno di una donna vivace, intelligente, spiritosa, libera e sexy, capace di provocare e rassicurare a un tempo, in un periodo in cui l’Italia cominciava ad abbandonare un po’ di inibizioni e di stereotipi. 

Ci mancherà due volte: una per il suo inimitabile caschetto biondo – era il suo segno di riconoscimento – per il suo sorriso e il suo sguardo arguto, l’altra per il confronto con molte delle sue colleghe di oggi, che non le assomigliano affatto in nessuna delle sue doti. 

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