La Pelloni: Raffaella Maria Roberta Pelloni da Bologna, prima e forse anche meglio di Raffaella Carrà. Non posso dire di essere stato suo “intimo” amico: l’ho incontrata per invitarla e omaggiarla a Tv Talk come grande della tv. Ma da lì non mancavo mai di andarla a trovare in studio, al lavoro. E un pochino noi di Tv Talk dovevamo starle simpatici, visto che ci tirò dentro una sua conduzione per la parte italiana dell’Eurofestival.
Quella volta per la verità non è che facemmo una gran figura, forse ci aveva sopravvalutati; ma d’altronde come facevi a reggere il confronto, di fronte a una delle più grandi professioniste della televisione italiana?
Mi piaceva di lei l’allegria, il distacco, la professionalità. Era la più solida di tutte le stelle, la più “secchiona”. Non uno sguardo, un gesto, un passo, una parola, una nota cantata, in lei, che non fosse consapevole e voluta, studiata, provata. Diciamo la verità: pur prendendo la tv con grande serietà, pur passando per dei secchioni, noi televisivi di oggi siamo dei mediocri dilettanti, al confronto di gente come la Carrà. Era un’epoca più strutturata, più professionale, più importante, la loro: in Rai entrava davvero solo il meglio del Paese, solo i più bravi.
Altra questione: Raffaella Carrà icona gay? Certo, ma anche delle casalinghe, dei bambini, delle donne degli anni 70, dei Maschi degli anni 80, dei coreografi, degli stilisti, dei musicisti (ha venduto milioni di dischi: e il fatto che presentandola non lo sottolineassi abbastanza mi fruttò una bella ramanzina in diretta…). Icona, poi? Lo lasciava dire agli altri; lei era la Pelloni, preparatissima, fra gli attori diplomati del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma del 1960, partner di Frank Sinatra ne “Il colonnello Von Ryan”, mica bruscolini.
Dagli anni 70, Raffaella Carrà ha attraversato l’evoluzione della televisione italiana, i suoi pregi e i suoi difetti, la sua forza unificatrice e la sua potenza banalizzante; ma non se ne è mai fatta imprigionare. Dal miracolo di “Milleluci” con Mina nel ’74 ai fagioli da indovinare a “Pronto Raffaella” negli anni 80, ai “people show” negli anni successivi, per lei si trattava di lavoro. Ballare e cantare, parlare e intrattenere. Avrà patito, negli ultimi anni, i format banali e poco inventivi che il mercato le offriva; né era troppo contenta dei troppi no ricevuti alle idee importanti che veniva maturando e proponendo. E forse il no che le bruciava di più fu quello, da parte della Rai, di una scuola di formazione per chi avrebbe voluto fare il suo mestiere. Avrebbe voluto fare la coach perché stava bene anche senza la tv, senza l’occhio della telecamera davanti.
Adorava i suoi nipoti, non le mancava il video. Non si era mai ammalata, negli anni, del proprio personaggio, adorato e onorato in mezza Europa e in mezza America. Sorrideva, ti rimproverava, ti liquidava in camerino perché era ora di andare in scena. Una vita piena, serena, senza mai perdere il senso delle proporzioni. Ciao Raffaella, ci mancherai.
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