È di ieri la notizia della solita, indecente sceneggiata neofascista contro una famiglia di rom, legittima destinataria di una casa popolare a Roma. 

Come tutti sanno, Casa Pound è uno dei movimenti estremisti che più agitano le acque del malcontento popolare: da acque del genere, infatti, emerse il mostro fascista circa cento anni fa. 



Probabilmente i signori di Casa Pound pensano – sbagliando – che la storia si possa ripetere: ma è innegabile che l’attuale malessere, come negli anni venti, è sostenuto dalla mediocre condizione economica generale. 

In realtà, per quanto riguarda il quadro specifico della situazione locale, Roma soffre meno di altre zone d’Italia (certamente meno del resto del Centro-Sud a cui appartiene). Voglio dire, è il destino delle capitali godere di vantaggi: basti pensare a tutti i posti di lavoro nei ministeri, negli enti statali, nelle associazioni politiche, e così via.



Diverso è il discorso dei servizi al cittadino, dove Roma, il Comune di Roma intendo, non presenta buoni standard, ed anzi è in crisi. Una profonda crisi che tocca soprattutto le periferie.

Temo però che la mia proposta di soluzione non andrebbe a genio ai signori neofascisti di Casa Pound. Vediamo perché.

Non sono un urbanista, ma forse tale condizione può risultare vantaggiosa, nel senso che un quadro visto da una maggiore distanza si fa osservare meglio.  Arrivo al punto. 

Roma ha sofferto di gigantismo almeno dall’epoca fascista. Non so se una tale “malattia” fosse nata in epoca precedente, ma di certo Mussolini cercò di rendere la capitale italiana sempre più vasta e popolosa. Del resto, faceva parte non solo della megalomania del “Duce”, ma della retorica fascista quella di rispolverare antichi splendori, e Roma costituiva la punta di diamante di tutta la faccenda. Ma qual è la “questione romana” oggi? 



La questione romana è, evidentemente, quella di una città ingestibile, una capitale che, per molti versi, ricorda l’organizzazione mancata di metropoli di paesi meno ricchi dell’Italia, che, con tutti i suoi problemi, rimane una delle dieci maggiori economie del pianeta. 

Come è possibile che una nazione come la nostra, capace di grandi progetti ed esempio per il mondo intero sotto alcuni aspetti importanti, come è possibile, dicevo, che un paese come il nostro possa rivelarsi incapace di superare un problema nazionale come quello romano? Perché questo è Roma, un problema nazionale. Non si può definirlo altrimenti. 

Una capitale che non riesca a risollevarsi, a riprendere il controllo di se stessa, a  guidare un riscatto che passando da sé tocchi tutta la nazione, ebbene, una capitale del genere non merita in effetti di rimanere alla guida del Paese, perché di fatto non lo è già più. Ed in effetti che razza di guida è per una nazione una città se non è in grado di condurre neppure se stessa?

Io credo che la questione romana sia facile da inquadrare soprattutto da un punto di vista quantitativo. Un problema somma aspetti tangibili e intangibili, e io credo che per iniziare ad affrontarlo occorra partire da quelli tangibili, tanto più se facili da misurare.

Qual è tale aspetto “misurabile”? Qual è l’aspetto, intendo dire, che a mio avviso è alla base del problema romano, ossia della sua disorganizzazione generale che comprende quella del traffico, della pulizia e della manutenzione? 

Roma è troppo vasta per la sua popolazione. Tutto qua. Anzi no: possiede pure grandi spazi verdi che, lungi dal sollevare l’amministrazione da servizi onerosi, ve ne aggiungono.

Se verificate, Roma è di poco meno estesa di megalopoli come Londra o San Paolo: ma mentre queste ultime contano 9 o 12 milioni di abitanti, la capitale, numeri alla mano, non arriva neppure a tre (per l’esattezza 2.857.321 abitanti). Ma molte parti della periferia invece di essere abitate sono occupate da piante. 

Questo cosa significa? Che se una città presenta una densità di popolazione scarsa rispetto ad altre è evidente che possiede un numero inferiore di contribuenti dai quali riscuotere a (quasi) parità di estensione: e ciò costituisce un problema per quei servizi che richiedono investimenti in base all’area da coprire (soprattutto se ricca di flora), a prescindere da qualsiasi considerazione circa il numero dei suoi abitanti. 

Si tratta di un’osservazione banale, mi rendo conto. Ma allora perché la faccio? 

Perché non è affatto detto che non sia stata già affrontata, anni se non decenni fa, per essere, però, subito scartata. Scartata? E come mai, ci si potrebbe chiedere. Per le sue conseguenze? Sì, esatto. Un esempio? La conseguenza – disastrosa per l’orgoglio dei romani, immagino – di rendere la capitale nettamente più piccola in nome di una migliore organizzazione delle risorse nella parte centrale della sua area, che è anche quella costruita fittamente e fittamente popolata, la “vera” Roma insomma, che contribuisce con una quantità maggiore di tasse al bilancio del Comune, le quali tasse però non vengono usate solo dove avrebbe un senso, bensì in zone lontanissime dal centro e poco abitate.

Con tutto il rispetto per i comuni limitrofi, è da Roma “centro”, quella delle carte turistiche insomma, che si deve ripartire. Oggi Roma si estende su ben 1.285 chilometri quadrati. Troppi (Londra su 1.572, ma per 8.825.000 abitanti; San Paolo su 1.521, ma per 12.038.125 abitanti). 

Vorrei ricordare che Milano ne ha poco più di 181 (181 kmq contro 1.285, circa sette volte meno contro solo metà della popolazione, 1.395.274 abitanti). Il centro storico di Roma, tanto per fare un esempio, è di nemmeno 20!

Ora bisogna capire quale sia l’area che oggettivamente gravita attorno al centro storico capitolino e che non potrebbe essere esclusa in una riorganizzazione del territorio urbano. Forse un’area di 300 chilometri quadrati? Agli urbanisti l’ardua sentenza: ma, ripeto, oggi Roma è troppo vasta ed è un’estensione, la sua, che sembra pensata apposta per farla sembrare più grande di quanto non sia, con tutto il verde che comprende nelle periferie, e che, onestamente, complica le cose. 

Fu Mussolini, ripeto, il primo che ebbe l’idea di ampliare la città ben oltre la ragionevolezza. Si può arrivare a imputare a lui il motivo del caos che Roma ha conosciuto successivamente? Forse. Certo è che noi, al contrario di Mussolini, non dovremmo cedere a tentazioni megalomani e se c’è da tagliare, ebbene, dobbiamo farlo. 

E poi, che Roma sia la capitale lo sappiamo tutti, non c’è bisogno di rimarcarlo sempre e ovunque da parte del Comune: sui mezzi pubblici, su quelli della polizia, e così via, con la scritta “Roma capitale”, la qual cosa, in effetti, può agire da spia. Una spia di cosa? O di megalomania, ripeto, o di insicurezza generale. Voglio dire: non mi risulta che Londra o Parigi (105 kmq per 2.229.095 abitanti) ricorrano allo stesso espediente retorico (“Londra capitale” o “Parigi capitale”). Forse Roma ha paura che qualcuno metta in dubbio il suo status a livello nazionale? Per essere una capitale degna di tale nome, però, non basta scriverlo: occorre dimostrarlo, anche col sacrificio di qualche pezzo nella difficile partita a scacchi che Roma, oggi, sta giocando col resto d’Italia (l’insofferenza della quale è ormai evidente).

Nel disperato tentativo di difendere la propria città parecchi romani esclamano: “Ma certo che Milano funziona meglio: è molto più piccola!”. Appunto, rispondo io. Salvo aggiungere che Milano è più piccola per scelta: potrebbe estendersi come Roma ai territori attorno, peraltro fittamente popolati, e raggiungere, e superare, le dimensioni e la popolazione della capitale, ma non lo fa: perché? Forse perché a non essere schiavi della megalomania, o della vanità da primi della classe (a chiacchiere), c’è qualche vantaggio? A tal proposito occorre segnalare che l’attuale area metropolitana di Milano (che non è il comune e neppure la città metropolitana) si aggira attorno agli otto milioni di abitanti, quella di Roma ai quattro milioni e mezzo.

So che si sta parlando da tempo di decentramento delle funzioni e di ruolo più marcato dei numerosi Municipi di cui Roma è composta. È una possibile soluzione; la mia, però, è  più drastica, ed è quella, ripeto, di tener conto che le città vaste come Roma nel mondo sono quasi sempre molto più popolose, e che il gigantismo dai piedi di argilla, nonché da paese del Terzo Mondo, non si addice all’Italia moderna. 

Se anche Roma non risultasse più la maggiore città d’Italia per dimensioni, ebbene, ce ne faremo una ragione. L’importante è mostrarsi una capitale degna: non mi pare, questa, un’aspirazione fuori dal mondo.

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