Un raid a Damasco per uccidere l’ufficiale più alto in grado delle Guardie della Rivoluzione Islamica mai preso di mira dagli israeliani, il generale Mohammad Reza Zahedi. E con lui sei persone, tra cui funzionari dell’ambasciata iraniana nella capitale siriana. Il blitz dell’IDF suona quasi come una dichiarazione di guerra all’Iran. Teheran, tuttavia, spiega Ugo Tramballi, editorialista de Il Sole 24 Ore e consigliere scientifico dell’ISPI, potrebbe calibrare la sua reazione: non ha interesse ad allargare una guerra che controlla già con i suoi proxy, come Houthi e Hezbollah. Ciò che preoccupa è l’assoluta convinzione del governo Netanyahu di poter agire impunemente, sostenuto dalla continua assistenza militare fornita dagli USA, che chiedono il cessate il fuoco ma non fermano il flusso delle armi.



Il problema è che ormai non vengono risparmiati neanche gli operatori delle ONG che distribuiscono i viveri ai palestinesi, come i sette di World Central Kitchen che sono stati uccisi. Netanyahu parla di tragico errore, ma Israele usa come arma la mancata consegna di cibo ai palestinesi di Gaza, sentendosi autorizzato, dopo il 7 ottobre, a qualsiasi tipo di intervento. Un modo di procedere che non porta sicurezza e rischia di provocare un’escalation della guerra con conseguenze inimmaginabili.



L’attacco senza precedenti all’Iran con il blitz di Damasco, l’uccisione degli operatori dell’ONG. Israele ha deciso di allargare la guerra?

Credono di essere i padroni del mondo. Fanno quello che vogliono con gli iraniani, con gli americani, con tutti. A questi due fatti poi, bisogna aggiungere la chiusura degli uffici di Al Jazeera. Israele, che si definisce l’unica democrazia dell’area, ha deciso di adattarsi alle autocrazie arabe e mediorientali. Come l’Egitto, che ha anche imprigionato i giornalisti dell’emittente. Al Jazeera è una televisione di parte, ma lo sono anche i media filo-Netanyahu o la Fox. Gli israeliani non sopportano, però, che sia l’unica tv internazionale ben strutturata dentro Gaza a dare con le sue immagini il resoconto quotidiano del massacro che stanno compiendo nella Striscia. L’ultimo episodio è quello dei sette operatori umanitari uccisi. Tutto fa pensare che siano stati mirati, non è stata colpa di una bomba caduta lì per caso. Perché ormai affamare i palestinesi, far morire di fame i bambini, per Israele è un’arma di guerra.



Ma come mai si è arrivati a questo grado di brutalità nelle azioni?

Non so a che livello si formi, se politico o militare, la decisione di usare la negazione del cibo come arma di guerra. Israele si sta sempre più avvicinando a quanto è stato individuato dalla Corte internazionale di Giustizia, che parla di crimini di guerra, genocidio. Cosa avremmo detto se Saddam Hussein avesse fatto qualcosa del genere?

Nello stesso tempo un attacco come quello di Damasco significa che Israele è pronto all’escalation. Perché agisce in questo modo? È proprio vero che Netanyahu vuole perpetuare la guerra perché è il solo modo di restare al potere?

Israele è un Paese così in crisi, segnato dagli avvenimenti che in buona parte esso stesso provoca, che qualsiasi sospetto è legittimo. Un docente esperto di Iran dice che mentre gli Houthi sono i figli scapestrati di Teheran, che fanno quello che vogliono anche se non è del tutto negli interessi iraniani, Hezbollah è considerato il figlio legittimo, ideale, che obbedisce. L’Iran è il deus ex machina di tutto quello che sta succedendo in Libano, in Siria. Ma se si decide di colpirlo c’è la volontà di alzare il tiro dello scontro, rimasto finora, per i canoni della regione, all’interno di limiti accettati. Significa rompere l’equilibrio di una guerra a bassa intensità che andava bene a tutti. Aprire un fronte con Hezbollah al Nord significa mettere in seria difficoltà Israele e il suo futuro.

Perché si sentono di poterlo fare?

Se il presidente Biden litiga con Netanyahu e il senatore Schumer dice che Israele deve andare a elezioni anticipate, ma nel frattempo, come ha spiegato il Washington Post, le armi e le bombe continuano ad arrivare, Israele si sente l’unico Paese al mondo impunibile.

La lettura degli iraniani che l’attacco di Damasco e il comportamento di Israele siano colpa degli USA alla fine è corretta?

Israele manca di quell’equilibrio che in passato ha sempre avuto e ha una leadership che vuole restare al potere, la quale ritiene che tutto ciò che essa pone in essere sia legittimo. Non si tratta solo di Netanyahu: il giorno in cui finisse la guerra verrebbe messo in discussione tutto il governo, il capo di stato maggiore, il capo dello Shin Bet, del Mossad, tutti coloro che sono ritenuti responsabili di essere stati colti di sorpresa il 7 ottobre.

Possibile però che un’azione che porta alla morte del capo della Guardia Rivoluzionaria Islamica iraniana in Siria non venga valutata a fondo nelle sue conseguenze?

Da quando Israele esiste, prima viene il problema della sicurezza, che viene affrontato dal punto di vista militare, raramente da quello diplomatico e politico. È ovvio che non si può considerare il futuro di Gaza con Hamas ancora presente, ma tutti gli esperti dicono che Israele non riuscirà a sradicare l’organizzazione palestinese dal punto di vista militare, ci vorrebbero anni. Un altro Paese si chiederebbe come è possibile eliminare Hamas politicamente, rafforzando l’ANP di Ramallah o coinvolgendo i Paesi arabi. Israele no. Quello che sta succedendo è nella natura e nella tradizione di Israele. Fa parte del loro modo di vedere le cose.

Così però non si finisce per produrre il massimo dell’insicurezza?

Sì, ma Israele continua a non volerlo capire. Solo una volta, sotto pressione americana e con leader di grande spessore come Shimon Peres e Yitzhak Rabin, Israele ha affrontato la questione palestinese dal punto di vista diplomatico, aderendo agli accordi di Oslo. Anche lì, però, senza smettere di costruire colonie e concedere ai palestinesi il diritto a uno Stato.

Un modo di pensare che è scattato a maggior ragione dopo il 7 ottobre?

Il 7 ottobre è visto come l’Olocausto. Israele, quattro o cinque generazioni dopo quell’evento, sapeva cosa significava ma non lo aveva mai vissuto sulla sua pelle. Quando da ragazzo venivo nei kibbutz, il Giorno della Memoria dell’Olocausto non c’erano celebrazioni, era una memoria familiare. Ora per loro il 7 ottobre è l’Olocausto. E allora tutto è consentito. Si sentono legittimati a fare quello che vogliono con Gaza, con Hezbollah.

Che reazione c’è da aspettarsi dagli iraniani? E gli USA continueranno a fornire armi a Israele nonostante il rischio di un allargamento del conflitto?

Si corre il rischio di una guerra regionale. Visto che gli americani, nonostante Biden si giochi la rielezione, continuano a far arrivare armi, gli israeliani si sentono legittimati a proseguire. Se l’Iran verrà coinvolto in una guerra, automaticamente gli USA dovranno stare dalla parte di Israele. Non è detto, comunque, che gli iraniani reagiscano pesantemente, non hanno interesse a estendere il conflitto, non sono preparati. Hezbollah ha un arsenale missilistico notevole, che può colpire qualsiasi parte di Israele, ma gli israeliani possono radere al suolo parte di Teheran con i caccia bombardieri. Gli iraniani, d’altra parte, sono in una situazione invidiabile: non partecipano direttamente a nessun conflitto però hanno gli Houthi che lavorano per loro nello Yemen, Hezbollah che fa altrettanto nel sud del Libano, le milizie in Iraq e in Siria che combattono contro gli USA, l’ISIS, Israele.

Ma c’è una via d’uscita da questa situazione?

È dalla fine della Seconda guerra mondiale che questa regione è la massima produttrice di petrolio, conflitti e migranti. Israele è stato un elemento di instabilità, ma l’area non aveva bisogno di questa presenza: c’è troppo petrolio, troppe etnie, confini stabiliti da inglesi e francesi che non sempre corrispondono alla realtà di questi Paesi. Resta la regione più instabile del mondo. Di vie d’uscita non se ne vedono. Solo potenziali aggravamenti della situazione.

(Paolo Rossetti)

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