“Insulto, quindi esisto”. L’insulto è sempre esistito e nessuno se ne scandalizza più di tanto, è molto diffuso nel gergo comune ma – quando si rivolge a personaggi pubblici o se ne scrive attraverso i media – è ovvio che occorre un minimo di necessaria maggiore serietà perché assume un valore diverso, soprattutto se espresso in pubblico.
Una volta, se parlavi male del sovrano, era un buon motivo per tagliarti la testa, poi gli esseri umani hanno inventato i codici per valutarne il contesto e la gravità… e infine vennero i social. Queste nuove forme di comunicazione hanno largamente sublimato gli insulti, la volgarità, il dileggio, rendendoli parte del discorso e quasi naturali, anche perché spesso coperti dall’anonimato. Conseguenza è che di solito non si può neppure iniziare qualsiasi dibattuto serio in rete che arriva l’immediato primo insulto compulsivo, più o meno pertinente, soprattutto – di solito – da parte di chi ha pochi argomenti per controbattere.
A volte invece l’insulto è più meditato, corrosivo, con chiare volontà diffamatorie ben sapendo che, nella pratica, non avrà quasi mai conseguenze per chi diffama, visto che sostanzialmente è diventato un “liberi tutti”. Le maglie dell’insulto si sono quindi abbastanza allargate per quanto attiene ai concetti di diffamazione, anche se appaiono evidenti diversi pesi di giudizio a seconda di chi gli insulti li subisce oppure li fa.
Per esempio l’onorevole Bersani solo pochi giorni fa è stato assolto da un giudice di Ravenna per aver dato pubblicamente del “coglione” al fu generale Vannacci durante un pubblico comizio alla Festa dell’Unità. Secondo l’illustre magistrato, infatti, l’offesa andava “contestualizzata”. Voi provate comunque a dare del “coglione” a Bersani e poi vediamo che succede.
Lunga premessa per sottolineare che qualsiasi censura a danni di chi insulta – salvo che non sia politicamente corretta – non gode di buona stampa.
È il caso di Christian Raimo (un docente di storia all’Istituto “Edoardo Arnaldi” di Roma, già collaboratore de Il Manifesto e Liberazione, candidato (trombato) alle recenti elezioni europee per l’Alleanza Verdi-Sinistra) che aveva definito il ministro dell’istruzione Valditara “Un cialtrone, un lurido personaggio repressivo e pericoloso”, uno “che andrebbe colpito dalla peste nera”. Il professor Raimo non è nuovo alle cronache, ebbe già modo di farsi notare a proposito di Ilaria Salis dichiarando pubblicamente che tanto “i fascisti vanno picchiati”.
Questa volta l’autorità regionale scolastica del Lazio gli ha comminato tre mesi di sospensione dall’insegnamento mettendolo e mezzo stipendio (perché mezzo, se non lavora?) per insulti al ministro; ma – a parte lo squallore di un docente che si abbassa a questo livello di espressioni da trivio – interessanti sono state le immediate reazioni, come peraltro da copione. Un fuoco d’artificio partito dal Pd al M5s, oltre, ovviamente, agli scatenati di Alleanza Verdi-Sinistra, il partito del “represso”.
Tutti che sparano a zero sul ministro (che peraltro il provvedimento non sembra averlo neppure sollecitato) per il grave “atto repressivo”. “È inaccettabile che un docente venga colpito per aver espresso un proprio parere” sostiene il Pd, a sottolineare come “solo nei regimi dittatoriali questo diritto viene censurato”, visto (sostiene il M5s) che “il governo vuole introdurre il reato di lesa maestà” con “un atto repressivo ed intimidatorio” per giungere a sostenere che la decisione “è un atto di violenza che pesa come un macigno e che ci riporta indietro a regimi con l’ossessione dei bavagli e ai manganelli”.
Ricordando che è stato il prof. Raimo a parlare (anzi, a sbraitare) e non Valditara, adesso chiudete gli occhi ed immaginate se un qualsiasi docente italiano si fosse permesso di esprimere non una lode, ma anche solo un commento positivo a un qualsiasi aspetto per esempio dell’infausto ventennio. Avrebbe espresso le sue idee (come Raimo), ma quali sarebbero state le reazioni delle stesse persone che oggi pontificano su repressione, pluralismo e libertà? Scommettiamo che avrebbero chiesto immediatamente proprio a Valditara l’immediato allontanamento dell’incauto docente?
Ma il punto fondamentale è che se Raimo si è espresso con quegli epiteti verso Valditara, come può, da professore, insegnare il pluralismo delle idee alle nuove generazioni?
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