La fantascienza ha sempre cercato di aiutare il genere umano a immaginare un futuro prossimo possibile. In ogni caso, un futuro dominato dalla tecnologia e da condizioni di vita migliori. Raised by Wolves – Una nuova umanità non racconta di un futuro migliore, anzi, e ci aiuta a riflettere su come – nel nostro passato, ma molto probabilmente anche nel nostro futuro – a dominare resteranno i sentimenti. La nuova serie tv prodotta da HBO, creata dallo scrittore Aaron Guzikowsky e il cui produttore esecutivo (oltre che regista dei due primi episodi) è Ridley Scott, non è quindi un prodotto facile da digerire. Inquietante, aspro, complesso, a tratti anche ripetitivo e volutamente noioso, un drammatico racconto di come la nostra vita potrebbe in fin dei conti diventare peggiore.
Gli abitanti della Terra sono in fuga e alla ricerca di nuovi pianeti da abitare. Fin qui nulla di nuovo, da tempo ormai la fantascienza dà per scontato che per il nostro pianeta non c’è più speranza. Tra le calamità che l’hanno reso inospitale si è aggiunto un cruento scontro religioso. Da una parte il mondo degli atei, dall’altra la setta religiosa dei mitriaci, adulatrice del dio Sol. Nel frattempo su un inospitale pianeta – il Kepler 22-b -atterra una famiglia di androidi, composta da Padre e Madre, a cui è stata affidata un’insolita missione di crescere dei bambini.
Mentre la missione sta per fallire, nonostante il loro impegno che lascia trapelare l’esistenza di sentimenti umani, arriva sullo stesso pianeta una grande astronave carica degli ultimi superstiti della Terra. Sono i rappresentati della setta religiosa, costretti ad abbandonare il pianeta nonostante essere riusciti a vincere la guerra. Tra di loro però si è infiltrata una coppia di guerrieri atei. Il furto da parte di Madre dei bambini superstiti presenti sull’astronave dà inizio a uno scontro senza esclusione di colpi tra mitraici, la coppia di atei e i due potenti androidi.
La ricerca della sopravvivenza è la chiave principale di lettura di Raised by Wolves. Ma non la sola. Il filo conduttore è rappresentato dalla complessa relazione tra umani (in particolare modo degli atei) e le macchine da essi stessi create. I robot dovrebbero avere l’unico scopo di “aiutare”, ma più essi sono evoluti, più rapidamente scoprono che per assolvere alla missione per cui sono programmati (difendere l’umanità) devono fare da soli, mettersi in proprio.
La durezza delle condizioni di vita sul nuovo pianeta contribuisce a rendere tesi e conflittuali i rapporti tra i sopravvissuti. Rendono ai nostri occhi il futuro così oscuro e poco attraente, e ci invoglia a non amare acriticamente le tecnologie. Sono temi ricorrenti nell’opera di Ridley Scott (Alien, Blade Runner, The Martian), solo per ricordare i titoli più famosi della sua produzione di genere fantascientifico. Il poliedrico e versatile regista e produttore britannico ( tra le sue opere più famose: Thelma e Louise, Il Gladiatore, Robin Hood, Le Crociate, Un’ottima annata) si cimenta così per la prima volta dopo 50 anni nella realizzazione di un opera con le caratteristiche di una serie tv.
Straordinaria l’interpretazione di Madre dell’attrice danese Amanda Collin. Così come quella dell’attore australiano Travis Fimmel, ex modello di Calvin Klein e noto per il successo in Vikings con il ruolo del condottiero Ragnar, che nella serie è Caleb/Marcus, l’ateo che si è infiltrato tra i mitralici.
La prima stagione (10 episodi, disponibili su SkyGo e NowTv) avrà ben presto un seguito. È già in lavorazione dai primi di marzo in Sudafrica la seconda stagione.