«L’elezione di Ebrahim Raisi alla Presidenza dell’Iran è un campanello di allarme per il mondo intero»: la prima reazione del Premier d’Israele, il neo-nominato Naftali Bennet, è tutt’altro che positiva davanti ai risultati delle ultime Elezioni Presidenziali in Iran. Il passaggio dal “moderato” Rohani all’ultraconservatore Raisi ha spaventato la comunità internazionale, consegnando un’ulteriore dose di incertezza e instabilità nella già intricata geopolitica in Medio Oriente. «Non è stata la gente a eleggerlo ma – ha aggiunto ancora il primo Premier israeliano dopo 12 anni diverso da Netanyahu – la Suprema guida Ayatollah ali Khamenei che ha permesso la sua nomina. Hanno eletto il carnefice di Teheran».



I timori sono diversi e viaggiano sull’asse Tel Aviv-Washington, come in tutte le cancellerie europee: riguardo l’accordo sul nucleare ha insistito Bennet nel considerare l’arrivo di Raisi in Iran come l’ulteriore riprova che «un regime di carnefici non può avere armi di distruzione di massa». Pericolo esterno ma anche forte tensione interna, di questo parla oggi al Corriere della Sera il politologo Gilles Kepel, analizzando i dati delle Elezioni a Teheran: «L’elezione di Ebrahim Raisi a fronte di una bassa partecipazione al voto, probabilmente molto minore di quanto annunciato ufficialmente, è rivelatrice della grande debolezza del regime iraniano. In passato gli Ayatollah cercavano di mantenere una qualche forma di modus vivendi pacifico con la società civile, permettendo la nomina di un presidente moderato e riformista. Ma oggi sentono più che mai cedere il terreno sotto i piedi, sono isolati, hanno bisogno di fare quadrato».



COME (E SE) CAMBIA IL MEDIORIENTE CON RAISI

Come ha invece spiegato al Sussidiario Rony Hamaui, professore all’Università Cattolica di Milano, la vittoria di Raisi è stata scontatissima e rileva una forte debolezza interna del regime islamico: «non cambia granché», spiega l’esperto di geopolitica e di finanza islamica dopo il 62% conquistato da Raisi contro i 2,4 milioni di elettori del moderato Abdolnasser Hemmati, «Più repressione di quanta ce ne sia già in Iran, Raisi non potrà portare. E non cambia nulla chiunque avrebbe vinto queste elezioni, perché da sempre il potere reale è nelle mani degli ayatollah: nei suoi otto anni di incarico il precedente presidente Rouhani no ha potuto fare nulla». Quello che si staglia all’orizzonte sono possibili nuove scontri di piazza a Teheran, come sottolinea ancora Kepel «Raisi non ha nulla di carismatico, nessuno dimentica le sue responsabilità nell’esecuzione di migliaia di oppositori politici, non sarà capace di fare digerire agli iraniani i sacrifici imposti dal radicalismo ideologico degli Ayatollah. D’altro canto, il regime non può rischiare, non può più permettere divisioni interne». Dal nucleare agli Usa, dallo scontro con Israele al problema religioso: il futuro dell’Iran (e del Medio Oriente) è ora ancora più incerto, «L’Iraq sta fuggendo fuori controllo per la prima volta dal 2003. In Siria i russi esigono una rinascita economica, che necessita di aprire all’Europa a scapito della presenza iraniana. Il disastro libanese è colpa degli sciiti di Hezbollah, protetti da Teheran. Persino il rapporto con Hamas appare incrinato. Sei anni fa noi europei cercavamo la collaborazione con l’Iran per battere Isis. Ora non serve più», conclude l’esperto al CorSea.

Leggi anche

ISRAELE/ Netanyahu cerca un accordo con il Libano per concentrarsi nella guerra all’Iran