Ieri Atlantia ha chiuso la giornata con un rialzo di oltre il 16% che ha portato il titolo vicinissimo ai massimi “post-Covid”. La performance è arrivata dopo la pubblicazione, martedì sera, di alcuni rumour da parte di Bloomberg che gli investitori evidentemente hanno ritenuto molto “qualificati” e di fonte certa e affidabile. Secondo quanto pubblicato da Bloomberg, il Governo italiano e la società starebbero definendo i dettagli di un piano per risolvere la disputa che dura dal crollo del ponte di Genova.
Il piano, in due fasi, prevede prima lo spin-off del 70% di Autostrade per l’Italia e poi un aumento di capitale da 6 miliardi di euro della società. La “novità” è che la valutazione della società sarebbe pari a 11 miliardi di euro, molto superiore ai valori, 8 miliardi di euro al massimo della forchetta, di cui si era parlato a valle del comunicato stampa con cui il Governo italiano annunciava l’accordo di metà luglio. Il comunicato stampa del Governo, come sappiamo, non conteneva alcun dettaglio numerico, ma nei giorni immediatamente successivi la stampa si affrettava a pubblicare numeri che, evidentemente, non erano stati partoriti dalla mente dei giornalisti quanto piuttosto da chi era vicino alla trattativa. Secondo questi “rumour”, Autostrade per l’Italia sarebbe stata valutata al massimo della forchetta circa 8 miliardi di euro e il Governo italiano avrebbe dovuto spendere circa 3 miliardi di euro per avere una quota del 30%.
Nelle settimane successive intervenivano alcuni investitori lamentandosi del prezzo e, puntualmente, secondo previsioni di cui è impossibile vantarsi sono stati accontentati. La valutazione di ieri, infatti, è del 40% superiore a quella ipotizzata appena dopo l’accordo. Il conto che la Cdp dovrebbe pagare per avere il 30% è improvvisamente lievitato a circa 5 miliardi di euro. Una cifra impossibile che quindi richiede il coinvolgimento di altri soggetti.
Quello che è accaduto ieri, però, era già contenuto nel comunicato stampa di metà luglio. Con il quale il Governo nei fatti “assolveva” tutto quello che era successo dentro e intorno alla concessione negli ultimi vent’anni e faceva venire meno l’unica arma negoziale vera, la revoca, senza aver messo nero su bianco alcun numero. Improvvisamente una società che è stata invendibile e invalutabile per due anni, a causa di un enorme contenzioso legale, diventava vendibile e valutabile. Le carte passavano in mano ai “Benetton” e puntualmente il prezzo lievitava. Tutte cose chiarissime per la comunità degli investitori che hanno capito immediatamente cos’era successo.
La “narrazione” dei Benetton cacciati da Atlantia è davvero impossibile da vendere a questo punto. Teniamo presente che prima del crollo del ponte e del Covid la società era stata valutata 14,8 miliardi di euro. Oggi, dopo il Covid e dopo il crollo di un ponte che forse è avvenuto per cattiva manutenzione e dopo intercettazioni certamente molto imbarazzanti, vale appena il 25% in meno. Magari il prezzo sale ulteriormente…
C’è però un altro aspetto da sottolineare. Lo spin-off permette ai Benetton di isolare la parte italiana da quella buona del gruppo. La concessione per quanto strategica è pur sempre in un Paese al fondo della classifica di crescita europea; rimangono anche punti interrogativi sull’adeguatezza della rete. L’impero costruito con i dividendi pagati da Autostrade per l’Italia, dopo lo spin-off, sarà completamente al riparo da qualsiasi cosa possa succedere in Italia. Chi ha avuto ha avuto, chi ha dato a dato con il pagamento di un prezzo, che al netto di Covid e ponte, è pieno.
Con queste premesse a festeggiare non sono di certo i contribuenti italiani. A festeggiare sono gli “odiatissimi” Benetton che oltretutto ottengono il bonus, della narrazione, di passare pure per vittime. Verrebbe quasi da sperare che questo esito non sia frutto di incapacità. Rimane invece imperdonabile chiunque, a questo punto, continui a difendere una narrazione veramente assurda.