“LA LOBBY TRANS CONDIZIONA IL PARTITO DEMOCRATICO USA”: L’AFFONDO DI RAMPINI DOPO IL CASO KHELIF

Dalle Olimpiadi alla campagna elettorale verso le Presidenziali Usa nel segno, anzi ne “marchio” trans: secondo lo storico giornalista inviato dagli States Federico Rampini, le polemiche internazionali esplose alle Olimpiadi sugli atleti intersessuali come Imane Khelif e Yung Liu entrano eccome nel dibattito americano nella spaccatura evidente tra i due candidati. Trump coi repubblicani contesta la comunità LGBTQ+, Kamala Harris invece ancora più del ritirato Joe Biden incarna le istanze arcobaleno anche prima della candidatura alle Primarie del 2020.



Inteso che sul caso olimpico non si tratta di atlete trans, la vicenda sulla possibilità che sportivi transessuali possano gareggiare con il genere femminile resta un tema tutt’altro che marginale nella cultura sportiva e sociale americana: «diverse sono le rivolte nelle università Usa per i tanti atleti che hanno cambiato sesso» racconta l’inviato del “Corriere della Sera” nella recente puntata di “In Onda” su La7, parlando proprio degli scenari LGBTQ all’interno della campagna verso le Elezioni Usa 2024. A differenza di quanto sostiene la conduttrice Marianna Aprile che invita Rampini a definirla “comunità LGBTQ”, il cronista insiste nel chiamarla “lobby” in quanto esprime un «potere di pressione fortissimo sul Partito Democratico americano». Negli States, continua Rampini, la lobby trans è addirittura «potentissima, cattivissima, ed è arrivata a delle punte di aggressività enormi».



HARRIS VULNERABILE IN QUANTO “PORTAVOCE” DELLA RELIGIONE LGBTQ-TRANS

Rampini ricorda come anche in questi giorni di polemiche sul caso Khelif sono tornate di “moda” le minacce di morte contro la scrittrice di Harry Potter, J.K. Rowling, per il suo semplice assumere che vi siano solo due generi esistenti e che esiste una vera differenzia biologica tra uomo e donna: la lobby trans l’ha attaccata anche se l’autrice resta una femminista storica, tutt’altro che assimilabile con il mondo della destra internazionale.

Secondo il giornalista del “Corriere”, sebbene non sia uno dei temi più caldi nella campagna elettorale Usa più “folle” degli ultimi decenni, il tema LGBTQ può rappresentare un punto di vulnerabilità per la candidata Dem Kamala Harris. «La lobby trans ha degli addentellati nella sinistra americana che sono molto pericolosi»: come racconta ancora nel programma di La7, Rampini ricorda del viaggio anni fa in Africa della vicepresidente americana, facendosi di fatto portavoce dell’agenda americana per la lobby trans. Harris pretendeva dalle nazioni africane che applicassero in maniera facile gli stessi diritti per l’intera comunità LGBTQ: ebbene, questo sarebbe stato percepito e denunciato in Africa come una sorta di «nuovo colonialismo culturale americano».



Se un tempo i missionari cristiani erano visti come portatori di una nuova cultura (non sempre in maniera pacifica, ndr), con Harris si assiste ad una missione quasi religiosa: «è accusata di essere il nuovo volto dell’imperialismo culturale Usa». Secondo Rampini, e soprattutto secondo buona parte dell’opinione pubblica americana, Kamala Harris incarna la «nuova religione LGBTQ», pretendendo che tutti siano allineati con questi valori, «altrimenti l’America toglie gli aiuti». Insomma una pressione tutt’altro che “morale”, bensì una minaccia dal forte ricatto sociale e finanziario.