Rispetto, ammirazione, condivisione. Impongono un grande rispetto le parole del padre di Ramy Elgaml – il giovane sedicenne morto sullo scooter inseguito dai carabinieri il 24 novembre a Milano – quando insiste, implora, prega tutti di ricordare il suo ragazzo senza lasciarsi andare a violenze di qualsiasi tipo.
Il suo composto dolore e la sua serietà sono una lezione, non solo ai teppisti violenti che hanno approfittato dell’occasione per scontrarsi in tante piazze d’Italia, ma soprattutto a quei media che hanno aizzato la violenza.
Non so quanto sia “libertà” pubblicare, ripubblicare e diffondere mille volte un audio dei carabinieri estrapolando pochi secondi dal contesto lasciando intendere che quei militari quasi si divertissero ad ammazzare il giovane che fuggiva con un complice in scooter, con ogni probabilità (visto quello che aveva indosso e i suoi precedenti) dopo una rapina.
Ma cosa dovevano fare quei carabinieri dopo 20 minuti di inseguimento per le vie di Milano e dopo che i due non si erano fermati all’“alt”? In quasi tutte le parti del mondo avrebbero semplicemente sparato sui fuggitivi, loro invece in ogni modo hanno tentato di fermare la folle corsa contromano nel buio della notte milanese, fino allo schianto.
Per questo l’autista della “gazzella” è ora imputato di omicidio volontario quasi “avesse voluto” ucciderlo. Assurdo, ma qual è la responsabilità morale di chi sa di scatenare reazioni e violenze diffondendo fuori contesto quelle voci e quelle immagini?
La risposta sta nella coscienza di ciascuno, perché le conseguenze di queste strumentalizzazioni sono sotto gli occhi di tutti e i filmati di mezza Italia lo confermano. Pochi, ovviamente, hanno sottolineato che nelle tasche di Ramy c’erano una catenina d’oro spezzata, un coltello, 1.200 euro e uno spray al peperoncino. Voi andate in giro di notte con questo armamentario?
Nel 2024 ci sono state in Italia oltre 12mila manifestazioni di piazza con 273 agenti e carabinieri rimasti feriti con prognosi ospedaliere e – purtroppo – pochissimi arresti. Eppure spesso sono sempre le stesse persone che – la scusa non importa – vogliono sempre e comunque creare violenza. Se partecipi a violenze o tafferugli allo stadio il Questore ti commina il Daspo e per un periodo da uno a cinque anni non puoi più andare alle partite. Perché lo stesso atteggiamento non si deve tenere a livello di manifestazioni di piazza se vieni identificato come un violento o partecipi volontariamente a scontri con gli agenti?
Sarebbe una prima deterrenza e la conferma dell’esistenza di uno Stato che manda allo sbaraglio le forze dell’ordine e non le tutela abbastanza, soprattutto quando – come si è visto a Roma – indietreggiano per evitare gli scontri e reagiscono solo quando sono pesantemente attaccate da petardi e bombe-carta, e neppure possono farlo con efficacia perché si trovano tra i piedi decine di “giornalisti” che documentano il tutto con il telefonino in mano, guai a filmare a distanza. Ma se foste un agente, un poliziotto di vent’anni, come reagireste? La prossima volta lascerete scappare uno scooter che non si fermasse all’alt? Perché il rischio nel compiere il proprio dovere è assurdo e nessuno poi ti tutela. Si è visto a Rimini: un folle ferisce gravemente quattro persone, minaccia di accoltellare un carabiniere e quando questo gli spara per difendersi la colpa è sua? Continuiamo a chiudere un occhio, due, sempre e senza voler fare nulla.
Guardate quello che è successo l’altra notte a Busto Arsizio dove un gruppo di giovani ha circondato due ragazzi in divisa strattonandoli e cercato di impedire l’identificazione di due loro coetanei e minacciandoli di morte. Non dico di provare a farlo negli Stati Uniti, ma anche solo in Francia, in Germania, nella civilissima Svizzera e vedrete che succede.
Qui, invece, l’impunità garantisce i bulli di periferia spesso minorenni, quelli che urlano (e stuprano) in Piazza Duomo, tanto sanno che verranno comunque “compresi” e coccolati.
Non ci rendiamo conto che l’immunità dei violenti genera altra violenza, che lo spirito di emulazione è fortissimo, che il morale delle forze dell’ordine è sotto i tacchi e lo è proprio nel momento in cui un governo e la gran parte degli italiani, anche politicamente, è dalla loro parte.
E allora? E allora cominciamo visibilmente a manifestare loro solidarietà, a chiederci chi abbia la responsabilità nella diffusione degli atti (teoricamente segreti) dell’inchiesta, visto che qualcuno quell’audio e quel video deve pure averli diffusi. Come mille altre volte, perché la Procura non indaga sulla fuga di notizie? Non per coprire o nascondere i fatti, ma per non generalizzare, creare alibi. Il papà di Ramy è stato sincero: “Quei carabinieri possono aver sbagliato, ma di solito hanno ragione”. Lo ha detto il padre di un ragazzo morto per strada, non una radical-chic del solito salotto tv. Anche su questo dovremmo meditare.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.