Raniero Busco, fidanzato di Simonetta Cesaroni all’epoca del delitto di via Poma, finì a processo per l’omicidio della 20enne e fu assolto definitivamente nel 2014 con sentenza di Cassazione a conferma dell’esito di appello, dopo una condanna in primo grado a 24 anni di reclusione. Il suo nome piombò nell’inchiesta insieme ad altri, tra cui quello di Pietrino Vanacore, portiere dello stabile romano in cui la giovane fu assassinata, il 7 agosto 1990, morto suicida nel 2010 pochi giorni prima di deporre in aula nel dibattimento che vedeva Busco unico imputato.



L’odissea giudiziaria di Raniero Busco, da sempre professatosi innocente, si è conclusa con la sua uscita di scena dall’alveo delle indagini, e il caso di Simonetta Cesaroni resta irrisolto. Era iniziata nel 2007 quando sulla sua posizione, ricostruisce Il Corriere della Sera, si accese l’attenzione attraverso le analisi condotte dal Ris di Parma sui reperti biologici rinvenuti sul corpo della vittima, che avrebbero evidenziato una corrispondenza fra le tracce di Dna riconducibili a Raniero Busco e quanto isolato sul cadavere. In particolare, tracce di saliva trovate sul corpetto e sul reggiseno. Raniero Busco venne iscritto nel registro degli indagati con l’ipotesi di omicidio volontario. Nelle motivazioni della Suprema Corte, si legge che “vi è una mancanza di prova che fa cadere la certezza della presenza dell’imputato sul luogo del delitto al momento del suo compiersi“. Contro l’assoluzione di Busco in appello, datata 2012, la Procura generale aveva fatto ricorso e la Cassazione lo ha respinto nel 2014, confermata l’estraneità dell’uomo al delitto.



Raniero Busco, le sue parole sul caso Simonetta Cesaroni e l’alibi: “Sono state dette troppe assurdità, mai stato a via Poma”

Mi è stato chiesto 16 anni dopo che cosa facevo quel giorno“. Così Raniero Busco, intervistato nella trasmissione Matrix nel 2009, ricalcava il momento in cui gli inquirenti gli avrebbero posto domande relativamente all’alibi fornito sul giorno dell’omicidio di Simonetta Cesaroni, avvenuto il 7 agosto 1990. All’epoca della morte della giovane, Raniero Busco era il suo fidanzato. Agli inquirenti e ai microfoni dei giornalisti ha sempre ribadito la sua innocenza, la giustizia gli avrebbe dato ragione nel 2014 con l’assoluzione in via definitiva. 



Sono state dette troppe assurdità – aveva sottolineato Busco a Matrix -, non sono mai stato a via Poma”. In merito alle sue tracce biologiche sugli indumenti della vittima, reggiseno e corpetto, Raniero Busco aveva precisato di aver incontrato la fidanzata il giorno prima che venisse uccisa. “Il mio Dna potrebbe essere finito sui vestiti in quella occasione”. A carico di Busco, l’accusa sosteneva la compatibilità della sua arcata dentale con il morso rilevato sul seno della vittima: “È assurdo, non ho mai dato nessun morso a nessuno, non sono un tipo violento, chi mi conosce lo può testimoniare“. A distanza di oltre 30 anni dalla morte di Simonetta Cesaroni, dopo aver percorso diverse piste, le indagini non hanno portato a individuare l’assassino. La recente riapertura del caso, nel 2022 grazie a elementi ritenuti inediti, punta ad accertare l’identità del soggetto che avrebbe lasciato una traccia ematica sulla maniglia della porta dell’ufficio in cui si consumò il delitto, sangue di gruppo A incompatibile con le persone finite sotto indagine negli anni. Gli inquirenti avrebbero estratto un profilo genetico maschile dal materiale repertato sulla scena del crimine e sarebbe di un soggetto mai identificato.