Nel corso degli ultimi mesi negli Stati Uniti si sono moltiplicate le accuse nei confronti di Donald Trump e dei repubblicani in generale, rei di essere amici di Vladimir Putin. Il Russiagate si è rivelato una fake news, ma non è finita qui: come evidenziato da La Verità, negli States chi intrattiene storicamente opachi rapporti con la Russia è il Partito Democratico, con tanto di coinvolgimento per le famiglie Clinton e Biden.



Il quotidiano diretto da Maurizio Belpietro cita numerosi esempi, a partire dal marzo del 2009: l’allora segretario di Stato Hillary Clinton incontrò a Ginevra il ministro degli Esteri russo Lavrov: i due si impegnarono a favore di un “reset” nelle relazioni tra i due Paesi, giunte al limite nell’ultima fase della presidenza Bush. Una opzione messa già sul tavolo dall’allora vicepresidente Joe Biden. Nell’aprile 2010, invece, Obama e Medvedev firmarono il trattato New Start per la riduzione degli arsenali nucleari. Nell’aprile 2012, ancora, la Clinton definì Mosca “un alleato”.



“Rapporti opachi tra Clinton-Biden e la Russia”

Ma non è tutto. La Verità ha acceso i riflettori sul sì alla cessione di una società energetica a Rosatom e  sulle munifiche donazioni registrate nel corso degli anni. Nel dettaglio, la famiglia Clinton ricevette oltre due milioni di dollari dal presidente di Uranium One, società energetica canadese ceduta all’azienda statale russa. Donazioni che non vennero rese note nonostante un accordo di trasparenza con la Casa Bianca. Senza dimenticare i già citati rapporti controversi tra Hunter Biden, figlio di Joe, con i russi. Nel 2014 una sua società ricevette un bonifico di oltre 140 mila dollari dal magnate kazako Kenes Rakishev che, secondo Le Media, intratteneva rapporti con il leader ceceno Ramzan Kadyrov. Sempre in quell’anno Hunter Biden avrebbe ricevuto 3,5 milioni di dollari dalla moglie dell’ex sindaco di Mosca, la miliardaria Elena Baturina. E ancora, il figlio del capo della Casa Bianca tra 2018 e 2018 guadagnerò quasi 5 milioni di dollari grazie all’allora colosso cinese Cefc, che vantava rapporti di prestigio con l’esercito popolare di liberazione e con Mosca.

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