Caro direttore,
mi è capitato di leggere il rapporto Censis 2023, l’istituto di ricerca che fa un quadro della situazione attuale dell’Italia dal punto di vista sociale, economico e territoriale. Definisce gli italiani dei “sonnambuli”, cioè dei dormienti che camminano. Sono molti i fattori che determinano un simile stato: la paura del clima, del futuro, dei migranti, del collasso finanziario dello Stato, di un conflitto globale, del terrorismo. Paure che costringono a chiudersi nel proprio guscio, come le lumache. Sconcertano le percentuali. Una fra tutte: nel 2040 le coppie con figli diminuiranno fino a rappresentare il 25,8% del totale. Come a dire che si sta perdendo non solo l’idea di un futuro demografico ma perfino il senso della famiglia, con tutto quello che essa comporta per la crescita e la maturità di una persona.
L’unico settore in cui non si dorme sembra essere quello dei diritti civili. È davvero sconcertante notare che 74 italiani su 100 siano favorevoli all’eutanasia, cioè alla morte dolce. Si pensa alla morte invece che alla vita. Un quadro desolante, potremmo dire, ma è un quadro che fa riflettere. La prima valutazione che mi viene a caldo è che un simile stato è innanzitutto una vittoria del potere, di qualunque matrice esso sia. Una guerra pianificata che è cominciata a metà degli anni 50 con l’avvento della televisione – e ora marcia spedita con internet – che ha cercato e cerca in tutti i modi di omologare le coscienze. Ormai chi pensa con la propria testa è semplicemente considerato un pazzo. Anche Gesù, che è stato il primo ad insegnarci a pensare con la nostra testa, era considerato tale (cfr Gv 10,20). Ed è proprio tale omologazione che porta ad aver paura della libertà, libertà di coscienza e di azione, libertà che è la sola a definire la persona. Ormai non siamo più liberi di niente se non di scimmiottare le trovate del potere, che ci vuole sempre più sottomessi e sempre più alienati.
Un’altra riflessione mi viene guardando l’incapacità della Chiesa di rispondere a tanta desolazione. Papa Benedetto ha parlato una volta di “apostasia silenziosa”. È l’abbandono della fede e della Chiesa da parte non di singoli ma di masse. Ed è un abbandono silenzioso, senza far clamore, senza dirlo in piazza. Semplicemente sconcertante, ma mi costringe a domandarmi dov’è la Chiesa, la sua missione, il suo essere corpo vivo di Cristo che ci ha reso eterni, cioè capaci di ciò che dura nel tempo e non si spegne col passare degli anni e dei secoli. Comprendessimo davvero quelle parole che Gesù rivolse alla folla che era corsa nella sinagoga di Cafarnao per ascoltarlo, dopo la moltiplicazione dei pani: “voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà” (Gv 6,26-27).
Domandiamoci: la Chiesa, cioè noi cristiani, sappiamo dare ancora quel cibo? E prima ancora: sappiamo ancora nutrirci noi per primi di esso, oppure l’abbiamo abbandonato per l’effimero, per ciò che non dura? Se continuiamo a nutrirci di ciò che non dura non abbiamo forse preso la strada del suicidio? Nutrirci delle cose di questo mondo che troviamo sempre a buon mercato non è forse un peccato? Ma non contro Dio, bensì contro noi stessi? E non abbiamo forse perso anche l’uso della ragione che ci fa desiderare quello che ci conviene di più? Sono domande che esigono una risposta, non con le parole ma con la vita.
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