Il 55esimo rapporto del Censis sulla situazione sociale del Paese riporta tutti alla realtà e alla vita vera che supera i piani e le previsioni su cui si esercitano continuamente i nuovi tecnocrati, i nuovi economisti, i politici di un’epoca imprecisabile dove forse la politica non è mai esistita, i giornalisti e, da quando è scoppiata la pandemia, gli scienziati di vario tipo che si occupano della tragica malattia, con posizioni differenziate e spesso “l’uno contro l’altro armati”.
È vero, l’Italia sta risalendo nel Pil, la ripresa c’è. Il Paese ha anche guadagnato il certificato, con il nuovo governo di Mario Draghi, di modello positivo nella campagna di vaccinazione e di contenimento del contagio da Covid. Ma occorre non fare sopravvalutazioni e stare con i piedi per terra. I numeri che fornisce il Censis mordono, lasciano di stucco e invitano a un lungo percorso di risalita, a medio e lungo termine, ma mettono anche sgomento.
La pandemia, che ormai compie due anni, sembra sia stata la miccia accesa di una bomba che era pronta a scoppiare almeno trenta anni fa. Guardiamo i numeri del Censis e cerchiamo di ragionare, facendo una considerazione di fondo: se l’avvento della cosiddetta seconda repubblica entusiasmò (pure) alcuni irresponsabili o sprovveduti, la pandemia ha chiuso il capitolo delle illusioni o, più semplicemente, delle “maxiballe”.
Alcuni giovani forse non possono ricordare, ma quelli che vivono tra i cinquanta e sessant’anni potrebbero fare un riassunto sintetico: da una società sull’orlo di una crisi di nervi, dopo il primo demenziale entusiasmo del ’92, si è passati al trionfo dell’irrazionale assoluto per una quota abbastanza consistente di italiani, al rancore latente in vasti stati della società, alla sfiduciata maggioranza degli italiani che pensa che non si tornerà più al benessere passato.
Ripetiamo: guardiamo i numeri del Censis.
Il Pil dell’Italia era cresciuto complessivamente del 45,2% in termini reali negli anni Settanta, anni durissimi contrassegnati anche dal terrorismo (oltre che da due choc petroliferi). Negli anni Ottanta, nonostante un’inflazione galoppante e poi bloccata, il Pil era cresciuto, sempre in termini reali, del 26,9%. La crescita continua negli anni Novanta, più bassa, ma sempre del 17,3%.
Attenzione, è in quell’epoca che viene liquidata un’intera classe dirigente, quella dei partiti democratici, mentre vengono salvati, non si sa bene a quale titolo e non si capisce ancora adesso, i postcomunisti e i postfascisti, che ereditano, sotto nomi di fantasia, un ruolo di governo nel Paese. In quell’epoca scatta anche il Trattato di Maastricht, la globalizzazione e il poderoso e paranormale, per non dire devastante, piano delle privatizzazioni.
Ringraziando manipulitismo e globalisti sfrenati, il Pil del primo decennio degli anni Duemila riserva un aumento del 3,9%, poi nel decennio prepandemico, con la crisi finanziaria del 2008 a colpi di subprime, derivati e stock-options, il Pil cresce di un “sontuoso” (ovviamente si fa per dire) più 0,3%.
È il più clamoroso e poco propagandato “successo al contrario” del neoliberismo alla Friedrich von Hayek e alla Milton Friedman, che viene accettato, forse per essere “à la page”, anche dalla sinistra, quella italiana compresa, con il libro di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi Il liberismo è di sinistra, che oggi qualcuno ha sotterrato per vergogna.
Con la pandemia ovviamente, nel 2020, il Pil è crollato dell’8,9%. Insomma la bomba è scoppiata.
Prima considerazione: negli ultimi trent’anni di globalizzazione, tra il 1999 e oggi, l’Italia è l’unico Paese dell’Ocse in cui le retribuzione medie lorde annue sono diminuite: -2,9% in termini reali rispetto al +276,3% della Lituania, il primo Paese in graduatoria, al +33,7% in Germania e al 31,1% in Francia. L’82,3% degli italiani pensa di meritare di più nel lavoro e il 65,2% nella propria vita in generale. Il 69,6% si dichiara molto inquieto pensando al futuro. E il dato sale al 70,8% tra i giovani.
Seconda considerazione: per ben due terzi degli italiani, il 62,2%, si viveva meglio in passato: è il segno di una corsa percepita verso il basso. Inoltre, per il 51,2%, malgrado il robusto rimbalzo del Pil di questo anno, non torneremo più alla crescita economica e al benessere del passato.
Chissà se la “mostruosa” intelligenza di tecnocrati, economisti di moda, impolitici e giornalisti “globali” si rende conto che l’andamento della politica economica ha la sua importanza nello sviluppo del Paese?
Abbiamo detto che dall’essere sull’orlo della crisi di nervi, tipico dopo gli anni delle “manine sporche”, si è passati al puro irrazionale. Attenzione alla nuova cultura degli italiani, soprattutto alla loro capacità di comprendere la realtà.
Cerchiamo di non rabbrividire: per il 5,9% degli italiani (circa 3 milioni di persone) il Covid semplicemente non esiste. Per il 10,9% il vaccino è inutile e inefficace. Ma qui si sfiorano veramente i brividi perché per il 31,5% è un farmaco sperimentale e le persone che si vaccinano fanno da cavie.
Andiamo avanti con i deliri. Per il 12,7% la scienza produce più danni che benefici. Poi c’è una sequenza di superstizioni premoderne, pregiudizi, credenze stravaganti (basta pensare a chi crede di parlare direttamente con Padre Pio e poi va a farsi leggere le carte pagando salate prestazioni sul nulla).
In questo momento di crollo culturale, malessere, povertà in aumento e diseguaglianze sociali spaventose, l’irrazionale vince da tutte le parti: il 5,8% ritiene che la terra sia piatta: supera gli antichissimi greci e se ne frega di Copernico e Galileo.
Ma attenzione, c’è ancora di più: il 10% ritiene che l’uomo non sia mai sbarcato sulla luna.
Ovvio che dalle non conoscenze scientifiche si passa alle non conoscenze storiche, dove, saltando di qui e di là, si ragiona solo in termini di cospirazionismo, parola che si dice e naturalmente non si consce nel suo vero significato.
Tutto tipico di un Paese andato nel pallone, che usa parole a vanvera, tanto che solo il 20% conosce il titolo del famoso piano del Pnrr che dovrebbe portarci in salvo dopo questi trent’anni di pandemonio istituzionale, politico, economico, giuridico e chi ne ha più ne metta.
Chissà se qualcuno degli acuti gestori della seconda repubblica ha compreso che la sfiducia nasce da questo stato di malessere generale e per questa ragione non fa figli, non ritiene neppure che la scuola e l’università possa migliorare la sua situazione e per questo la frequenta meno che in altri Paesi.
Tutto questo che emerge dal rapporto del Censis è una verità amara, ma fortunatamente è la verità.
Una delle conclusioni del rapporto del Censis è più confortevole nella sua secca disanima delle parole aggrovigliate dei virologi che litigano in televisione, che pubblicano libri, che sono diventati quasi star e irritano il 45% degli italiani.
Nella sua razionalità, il contrario del nuovo pensiero italiano per fortuna minoritario, il Censis dice: “Parlare con parole nuove e affrontare con serietà le fragilità del nostro tessuto sociale è quello che serve nell’attuale dialettica socio-politica. Nell’orizzonte della ripresa si nota un’inquietudine politica, timida e incerta. Ben vengano paura e incertezza del futuro, se aiuteranno nuovi modi di pensare e costruire società e istituzioni, di riconnettere tra loro tecnica e politica, vita sociale e attività statale. Solo che il pensiero politico non si annidi in un acquietamento di pensiero, maschera di ogni poco curata transizione”.
In definitiva, studiamo una volta per tutte le storia del recente e meno recente passato? La finiamo di strologare sulla cosiddetta seconda repubblica? Cominciamo a predisporre un programma realistico e razionale secondo i canoni della politica vera?
Senza una buona “arte del tutto” si va inevitabilmente a sbattere.
Naturalmente nei telegiornali, e chissà che cosa diranno i giornali, si parla solo dell’irrazionalità degli italiani su alcuni argomenti. Sul malessere cresciuto in questi trent’anni silenzio assoluto, come il noto Mentana insegna. Complimenti per il “rispetto” della completezza e dell’oggettività della notizia.
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