Con più di due mesi di ritardo, ieri a Bruxelles è stato presentato il Rapporto sulla competitività europea messo a punto da Mario Draghi. Nella conferenza stampa l’ex Premier italiano ha ricordato che l’economia del Vecchio continente continua a perdere terreno nei confronti di Usa e Cina e per questo occorrono interventi e investimenti riguardanti difesa, innovazione, transizione ecologica ed energetica. Una sfida che richiede almeno 800 miliardi aggiuntivi ogni anno. Risorse che andranno reperite anche tramite “finanziamento comune”.
Secondo Mario Deaglio, professore emerito di economia internazionale all’Università di Torino, “presentare prima questo rapporto non sarebbe stato opportuno: per come è strutturato l’iter delle votazioni e delle nomine a livello europeo non ci sarebbe ancora stata buona parte dei soggetti destinatari del rapporto stesso. Detto questo, penso che in questa legislatura non ci si potrà limitare a gestire l’esistente, ma si dovranno prendere decisioni fondative, strutturali. Forse questo non è stato molto chiaro né agli elettori, né ai candidati che si sono presentati alle urne a giugno. Tuttavia, gli avvenimenti che ci sono stati dopo le europee, anche dal punto di vista politico-militare, evidenziano la necessità che l’Ue compia delle azioni strutturalmente diverse da quelle messe finora in campo”.
Per esempio?
Probabilmente, come suggerito dallo stesso Draghi, ci dovrà essere un accentramento dei poteri decisionali relativi ad alcuni settori, in particolare la difesa. Creare un esercito europeo sarà un processo lungo, ma già una spesa accentrata potrebbe dare risultati migliori che a livello nazionale. A titolo esemplificativo va ricordato che attualmente, senza considerare gli alleati Nato, in Europa ci sono un arsenale e una produzione bellica inadeguati ad affrontare militarmente un avversario come la Russia. Inoltre, a prescindere da chi vincerà le presidenziali americane, è ormai chiaro che bisognerà aumentare la spesa militare nell’Ue.
Draghi, nel presentare il suo rapporto, ha evidenziato che le politiche europee per la decarbonizzazione rischiano di andare contro la crescita. Cosa ne pensa?
Credo che ci si debba rendere conto che diverse politiche industriali in Europa sono risultate sbagliate, in particolare quelle che hanno a che vedere con l’ambiente e l’auto elettrica. Su quest’ultimo fronte, per esempio, è stato grossolanamente sottovalutato il costo della costruzione di un’adeguata rete per la ricarica dei veicoli.
Fa dunque bene l’Italia, come ha annunciato il ministro Urso, a voler chiedere di anticipare al 2025 la revisione sullo stop alla produzione di auto con motore endotermico previsto per il 2035?
Sì, sono totalmente d’accordo con la proposta italiana e penso che si dovrà per forza rivedere la scadenza del 2035. Non si possono trascurare nemmeno i progressi compiuti nella realizzazione dei motori diesel di ultima generazione, le cui emissioni inquinanti sono state drasticamente ridotte. Credo che bisognerà rivedere anche le politiche che riguardano l’agroalimentare, visto che si è avuta la situazione paradossale di assistere alle proteste contro Bruxelles di agricoltori che pure hanno ricevuto e ricevono sussidi dall’Ue. Ci sono, quindi, diverse politiche e misure da rivedere. Per esempio, il Carbon border adjustment mechanism, che prevede dazi per le merci prodotte fuori dall’Ue con alte emissioni inquinanti, contiene un principio giusto, ma va probabilmente affinato.
L’ex Premier italiano ha anche spiegato che gli investimenti per digitalizzare e decarbonizzare l’economia e aumentare la nostra capacità di difesa dovranno aumentare di circa 5 punti percentuali del Pil ogni anno. Anche tramite “finanziamento comune”.
Per questo sarà importante rivedere lo statuto della Bce, che oggi non può finanziare gli Stati membri se non in periodi di emergenza e dietro autorizzazione. Dovremmo prendere esempio dalla Federal Reserve, che ha molta più libertà di manovra e può sostenere direttamente gli Stati senza chiedere il permesso o anche finanziare il Tesoro americano.
Ci sono le condizioni politiche per riforme di questo tipo vedendo anche la situazione in Francia (con le contestazioni contro Barnier) e Germania (dove crescono i consensi per AfD)?
Parte dello scontento dell’elettorato deriva proprio dalle politiche condotte finora dall’Unione, in particolare per quel che riguarda l’ambiente. Quindi, cambiare l’Ue avrebbe un vantaggio anche per chi è alla guida dei Paesi membri.
Di fatto rivedere la politica green aiuterebbe a implementare le riforme contenute nel rapporto Draghi?
Sì, è così.
Un altro appuntamento importante di questa settimana è il Consiglio direttivo della Bce. Non mancano divergenze sull’opportunità di tagliare o meno i tassi. Come vede la situazione?
Un certo numero di Governatori nazionali si è espresso in favore di una riduzione dei tassi e di questo probabilmente bisognerà tenere conto. Credo che anche i tedeschi, di fronte al vistoso rallentamento della propria economia, possano accettare l’idea di dare un minimo di spinta alla crescita tramite una diminuzione del costo del denaro, visto anche il crollo dei crediti concessi nell’Ue. Penso che alla fine il taglio sarà dello 0,25% per non lanciare un messaggio troppo ottimista sul contrasto all’inflazione, la cui entità resta piuttosto eterogenea tra i Paesi dell’Eurozona, anche per via degli incrementi degli affitti residenziali.
La settimana prossima toccherà invece alla Fed compiere le proprie scelte di politica monetaria e si dà per scontato che abbasserà i tassi. Accadrà davvero?
L’economia americana ha creato meno posti di lavoro di quelli che si pensava. Quindi, la Fed dovrà intervenire per fare in modo che l’economia non venga frenata. Penso pertanto che opterà per una riduzione, seppur minima (anche in questo caso dello 0,25%), dei tassi, per non creare troppa euforia sui mercati.
(Lorenzo Torrisi)
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